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El Sistema: intervista a Andrea Gargiulo

Abbiamo “intercettato” Andrea Gargiulo qualche settimana fa, approfittando di una sua breve incursione fiesolana. Referente del Sistema in Puglia, docente nel Master post lauream della Scuola, Gargiulo è pianista, insegna esercitazioni corali presso il Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, ed è un curioso ed instancabile ricercatore e sperimentatore di metodologie per raggiungere con la musica davvero tutti.
L’occasione di incontrarlo era da non perdere, perché con la sua didattica sta rivoluzionando l’educazione musicale non solo in Puglia, ma anche nell’intero Sistema italiano di cori ed orchestre infantili.
Stabilito immediatamente un contatto umano diretto ed empatico, Andrea si è messo a raccontare ciò che fa, in modo talmente coinvolgente ed entusiastico da rendere superflua la scaletta di domande e risposte: ascoltarlo è una gioia, e vien da pensare che le sue qualità umane e la sua capacità di relazionarsi con gli altri attraverso la musica giochino un ruolo determinante, nel permettergli di operare con efficacia in qualunque contesto.

Perché sei a Fiesole, oggi?
Per un progetto campione, legato al Sistema nazionale; è un’ipotesi di lavoro molto efficace sul piano divulgativo e si chiama “violinista per un giorno”: permette ad un bambino – in un’ora e mezzo – di avvicinarsi alla musica e riuscire a dimostrare a se stesso ed agli altri che può realizzare il sogno di suonare in orchestra. Un sogno che magari non ha ancora sognato, visto che i sogni dei bambini di oggi sono altri, ma noi proviamo a stimolare in lui anche questo desiderio e magari, facendogli vedere ed ascoltare un’orchestra infantile venezuelana, riusciamo a dimostrare che il gap che lo separa dalla musica classica è più imposto dai media che connaturato alle sue esigenze emotive. I bambini se ne accorgono subito e, di solito, alla fine dell’ora sono totalmente conquistati. Oggi incontreremo 42 bambini delle classi quinte della Scuola elementare Don Minzoni di Firenze, ma l’esperimento è già stato fatto più volte, funziona dai sei anni in su e consiste nel riuscire a far suonare il violino in maniera intuitiva a bambini che non hanno esperienze pregresse, giocando con il metodo Rolland (come ci ha insegnato Antonello Farulli) e con altre tecniche messe a punto con l’esperienza, proprio nel solco tracciato da Abreu.

Come ti sei avvicinato al Sistema? Come hai scoperto Abreu?
Per caso, una quindicina d’anni fa, ascoltando per radio un’esecuzione dell’Orchestra Simon Bolivar, ho percepito un’ondata di suono e soprattutto di entusiasmo, che “bucava” la radio. Ho raccolto informazioni in rete, e mi sono reso conto che si trattava di ragazzi molto giovani, che facevano qualcosa di speciale, che mi entusiasmava ed interessava. C’è stata un’altra concausa positiva, costituita dal fatto che uno dei miei tre figli ha la sindrome di Asperger, “un modo diverso di percepire il mondo”, come dice lui. Ho cominciato anche grazie a lui a vedere la musica con occhi nuovi, e nel 2010 – insieme a tre colleghi – ho iniziato quest’avventura, che si chiama MusicaInGioco.

Di cosa si tratta?
E’ un progetto didattico sperimentale che nasce ispirato, oltre che al Sistema, ad un metodo accennato in un libro che si chiama Musica per gioco (EDT, 1997): la didattica reticolare.
Cominciare a compiere una serie di destrutturazioni della nostra abitudine didattica fu per noi una folgorazione: nella didattica reticolare non esiste la valutazione, l’errore si chiama semplicemente decontestualizzazione e si cerca di creare un contesto intorno a qualcosa, che è principalmente il bambino. Le procedure operative però non erano ben chiarite, in questo libro, e quindi nel tempo abbiamo provato, sperimentato, inventato. Avevamo dei bambini segnalati – in genere dai servizi sociali – perché portatori di disturbi dell’apprendimento, diverse abilità, problematiche sociali… qualcuno già protagonista di qualche atto di bullismo, mentre altri invece non problematici, che si avvicinavano per curiosità o passione.

Come vi siete mossi?
Iniziammo, con questi primi 37 bambini, a cercare di capire come poteva accendersi il loro interesse: provammo a giocare con l’improvvisazione, dalla body percussion alle pratiche vocali alternative proposte da Fiorella Cappelli, usando metodologie suggerite dai metodi Kodály, Dalcroze, Orff, tutti poi inseriti all’interno del melting pot della didattica reticolare.
Mancava qualcosa, cioè l’organizzazione di tutto questo materiale, così ho pensato a format didattici aperti, una sorta di regia nello stile del grande Eugenio Barba, un genio che dal Salento è andato a rivoluzionare l’idea stessa di teatro nei paesi del nord Europa con l’Odin Teatret, basando tutto sull’improvvisazione e l’interazione col pubblico. Quella era l’idea: avere un canovaccio di massima, ma non sapere dove saremmo arrivati, contando sull’entusiasmo del bambino e la sua propositività. Ci siamo accorti che i bambini sono una risorsa incredibile di proposte didattiche: a noi toccava solo saperle selezionare e incanalarle all’interno del progetto didattico.
Nel tempo abbiamo sviluppato una didattica progettuale: il docente sa di avere una serie di possibilità, e le utilizza liberamente, partendo dal contesto che si viene a creare di volta in volta.

Per esempio?
Partiamo dalla body percussion, che si può usare sia solo in senso ritmico, ma anche per improvvisare. Le ragazze che oggi mi aiuteranno a realizzare “violinista per un giorno” saranno qui tra poco per sperimentare con me le possibilità di questa tecnica, che si può correlare con libertà a quello che sta facendo l’altro, realizzando improvvisazioni guidate.
La proposta della body percussion spesso parte dal bambino, che decide se usarla quel giorno imitando un ritmo proposto oppure se creare delle sessioni improvvisative in cui lui diventa direttore. L’interazione tra i bambini può essere guidata da un bambino, dal maestro, oppure derivare dalla lettura comune di uno spartito. E tutto questo si può fare anche con la vocalità o con uno strumento.
La cosa fondamentale è suonare subito: il primo giorno, quando riceve in mano lo strumento, il bambino viene invitato a creare, sia in modo estemporaneo sia con la lettura: anche i bambini che oggi faranno “violinista per un giorno” leggeranno un brano, creato su due corde vuote, ed avranno in questo contesto l’aiuto di una base musicale, mentre normalmente sono i bambini più esperti a sostenere le prime parti, conferendo al gioco una dignità musicale che inorgoglisce tutti.

Nella sollecitazione di Claudio Abbado ad organizzare un sistema italiano era contenuta l’indicazione di proporre un repertorio colto mitteleuropeo… stiamo cercando di avvicinarci a questo, oppure ci stiamo rendendo conto che bisogna fare altro?
Se non lo viviamo come un vincolo, come una limitazione, diviene assolutamente plausibile e perseguibile. Nel Nucleo che avevo aperto a Napoli nei Quartieri Spagnoli, l’Orchestra Sinfonica dei Quartieri Spagnoli, con dei bellissimi scugnizzi realizzai lo start up (che oggi faccio con il mio pezzo Pomeriggio con gli archi) utilizzando due Danze tedesche di Beethoven. Alla fine il problema non è il repertorio, ma come noi lo proponiamo e quali sono le nostre aspettative. Noi per esempio pratichiamo sia repertorio eurocolto, sia repertorio originale, proprio con l’idea che il bambino debba essere tenuto lontano dalla catalogazione in categorie – musica di serie A e musica di serie di B, ma distingua la musica eseguita con entusiasmo, con coscienza, con dedizione, con passione da ciò che viene fatto senza impegno e in modo casuale. In questo senso l’idea che il repertorio sia esclusivamente quello della grande tradizione europea è un po’ rigida.
Io per esempio lavoro molto con delle fiabe musicali, in stile Pierino e il lupo, scritte da me in base alle esigenze dei bambini. In Puglia c’è un progetto che si chiama Armonie per la salute a scuola, che coinvolge l’assessorato regionale alla sanità insieme all’ufficio scolastico regionale ed è finanziato dalle ASL, per portare la salute al bambino nella scuola mediante la musica. Come può la musica concorrere alla salute? Negli ultimi tre anni stiamo dimostrando che non solo concorre, ma previene il bullismo, le dipendenze… I dirigenti scolastici ci mandano bambini problematici e rimangono molto stupiti nel constatare i cambiamenti che fanno in sole dieci lezioni, pensano che abbiamo qualche bacchetta magica.

E invece… è proprio così?
La magia è nell’utilizzo delle fiabe, che permettono al bambino che vuole andare più avanti di suonare le prime parti in poche lezioni, mentre quello che semplicemente si avvicina – proprio perché l’errore non esiste e a noi basta che il bambino cresca all’interno della voglia di suonare, non del “suonare bene”, che è un parametro nostro – ebbene per quel bambino diventa un successo semplicemente partecipare e sentire che sta suonando in un’orchestra. 40 minuti di musica originale, insieme alla voce narrante che racconta una storia, permettono di restituire al bambino la gioia grande di vedere i suoi genitori che lo sentono suonare, non un pezzo elementare ma qualcosa di complesso, coeso, bello dal punto di vista spettacolare, e quindi di grande soddisfazione.
Queste fiabe le abbiamo fatte al Teatro Petruzzelli di Bari ed anche in giro, creando un’orchestra di 1200 bambini che suonavano insieme. I dirigenti scolastici, che sono già increduli all’idea che si possano far star zitti 150 bambini senza alzare la voce e senza microfono, erano preoccupatissimi. In realtà la cosa funziona perché il bambino tace se è interessato ad ascoltare. Nell’ultima fiaba abbiamo inserito il repertorio eurocolto, un arrangiamento della Sinfonia dei giocattoli in cui le prime parti erano suonate dai più grandicelli, mentre i nuovi suonavano le corde a vuoto, con interventi comunque impegnativi dal punto di vista ritmico. C’erano anche i cori Manos Blancas, che suonavano gli strumenti giocattolo – autoprodotti, perché nell’ambito della motivazione utilizziamo l’autocostruzione degli strumenti, per aggiungere maggior dignità all’attività proposta, in modo che il bambino non pensi il coro come qualcosa di meno importante.

Anche per le Manos Blancas avete quindi messo a punto una metodologia originale?
Usiamo anche qui la didattica reticolare, integrando le pratiche del Venezuela, che sono ottime ma non le uniche. Il nostro bambino che partecipa ad un coro di Manos Blancas è già oggetto di molte attenzioni, e quindi saturo di opportunità e di iniziative, per cui se gli chiedi soltanto di segnare o di fare piccoli e semplici giochi, dopo poco si stanca e perde la motivazione. Allora noi integriamo queste pratiche di base con una serie di altri giochi, utilizzando il rap, le improvvisazioni non procedurali anche con gli strumenti… Non pensiamo ad una visione esclusiva del Manos Blancas, perché anche i bambini sordi suonano benissimo. Ho lavorato con un ragazzo sordo profondo, più grandicello, che era anche muto perché nel suo paese, l’Albania, era stato molto tempo in orfanotrofio senza ricevere cure adeguate…ma anche lui, che non riesce a parlare, può invece cantare. Per permettere ai bambini sordi di percepire il suono usiamo spesso un palloncino gonfio, che appoggiato sulla pancia aiuta ad assorbire meglio le vibrazioni. Tornando al mio allievo albanese, è riuscito a sviluppare una propria autoregolazione e riesce ad essere anche intonato, e ad improvvisare jazz al pianoforte, poggiando la mano sulla cassa armonica. Quando la prima volta lo vide, la sua mamma adottiva si mise a piangere, perché era convinta che lui non avrebbe mai potuto provare a far musica e invece lo faceva, con una semplicità incredibile e con bravura…

La musica è davvero capace di miracoli…
Sembra proprio di sì: portiamo il progetto “jazzista per un giorno” anche nelle carceri penali e minorili, con soddisfazioni incredibili, perché utilizzando una sola tastiera digitale riusciamo a coinvolgere più persone con il call and response, e poi sono gli stessi detenuti a diventare propositivi, usando a turno la tastiera. Mi sono capitati episodi meravigliosi, con il capoclan di 200 chili che arrivava sul palco e si scioglieva come un bambino, e tutti che dopo un po’ mi guardavano con occhi luccicanti. Allora mi accorgo che la bellezza cattura, come ben diceva Peppino Impastato: alla fine il male esiste perché nessuno insegna il bene, e anche le nostre misure di redenzione (ricordiamoci che questo è lo scopo del carcere) spesso non funzionano per colpa nostra.

Il tuo punto d’osservazione è diretto, ma come Consigliere del Sistema hai anche la visione d’insieme della situazione italiana…qual è lo stato dell’arte, dopo sei anni?
Domanda impegnativa…secondo me qualcosa è stato fatto. Siamo partiti da zero ed è stato necessario eliminare la confusione che aleggiava intorno al Sistema Abreu, da molti percepito come una specie di nuovo Suzuki per far suonare bene i bambini più piccoli. Invece non è questo, o almeno non solo questo. Lo stesso Abreu si è accorto in corso d’opera che poteva riuscire in qualche cosa di molto più grande: far diventare questi ragazzi buoni cittadini, non solo buoni musicisti. Quindi se qualcuno lasciava la musica non lo faceva per tornare ad attività illecite, ma perché sceglieva di studiare altro e diventare magari ingegnere, o architetto. Allora non dobbiamo pensare che il musicista sia serie A e tutto il resto serie B; abbiamo di fronte un cittadino che, nel momento in cui riesce ad essere soddisfatto del proprio lavoro e quindi felice, è un buon cittadino.
Questi primi anni hanno visto una sperimentazione eterogenea. Ci sono realtà molto diverse tra loro, alcune delle quali operano pienamente nel sociale, mentre altre sono magari collegate ad un privato (anche lungimirante) e devono “capitalizzare” ciò che fanno. E’ comprensibile, ma finisce per non aver più nulla a che fare con Abreu ed il suo Sistema.
Alcuni, pur collegati al privato sociale, non hanno doppi fini e realizzano l’ideale di Abreu: Campolongo Maggiore, ad esempio, e certamente il vostro Nucleo delle Piagge.
Anche la metodologia è varia, e su questo si sta facendo una sorta di selezione naturale: determinate metodologie vanno benissimo con la lezione frontale o con i piccoli numeri, ma quando devi raggiungere 1500 bambini e poi magari riunirli, devi fare in un altro modo.
In Puglia, chi dopo di noi ha tentato di avvicinarsi al Sistema con una logica diversa non è stato scoraggiato, ma si è accorto di non poter essere competitivo con la nostra offerta.

In che senso?
Abbiamo scelto un deciso impegno sociale; 1500 bambini pugliesi ricevono strumenti e lezioni gratuite, con pochissimi finanziamenti ma con un grande sforzo di sinergia: MusicaInGioco è federato con Art Village dell’Asl di S. Severo ed il Laboratorio Arte Musica Spettacolo di Matera che opera a Taranto, ed altri due nuclei stanno unendosi a noi….
Ogni finanziamento viene suddiviso fra tutti, e lavoriamo in completa condivisione d’intenti, mentre in altre regioni ci sono nuclei che addirittura si combattono tra loro. Con 10.000 euro formiamo un nucleo che accoglie 70 bambini per un anno, mentre con lo stesso finanziamento altri non riescono ad andare oltre un piccolo progetto senza futuro. D’altra parte molti operatori, che come me che sono anche insegnanti del Conservatorio, sono volontari totali, e questa è una nostra grande forza.

Qual è la strada perché tutti riescano ad individuare la metodologia didattica più efficace?
In questo Sistema non c’è il più bravo, ma chi apprende dall’altro con umiltà, perché sa che qualcosa si può prendere da tutti, anche da chi sa meno, e perché se invece arrivi con la presunzione di sapere tutto, io prenderò comunque qualcosa da te, mentre tu non potrai avvantaggiarti di un vero e proficuo scambio.
Adesso si stanno facendo passi avanti, il Sistema sta iniziando a scremare, e chi aveva idee diverse sta iniziando a uscire. In molti fanno cose lodevolissime, ma hanno interesse magari solo per un certo aspetto del Sistema. Bisogna che nel Sistema ci si riconosca all’interno di un’idea fondamentale, che dev’essere quella di una comune radice sociale.

Cosa mi dici circa i tempi di realizzazione del progetto?
Non penso che possa divenire un sistema di eccellenza musicale, se non prima di dieci anni. Così è andata in Venezuela, dove però non esisteva nient’altro, e quindi era più facile costruire: noi in Italia abbiamo conservatori, scuole d’eccellenza come S. Cecilia, Fiesole, la Chigiana…
Dobbiamo puntare ai grandi numeri: abbiamo già individuato una proposta che condividiamo con la Scuola di Fiesole ed il Sistema nazionale per portare la musica nella scuola a tutti: stiamo cominciando a sperimentare questo modello nella scuola primaria, dove un’insegnante ha ottenuto di destinare sei ore settimanali pomeridiane all’orchestra. Noi le abbiamo dato gli strumenti, che però non vengono consegnati ai ragazzi, ma tenuti dall’insegnante, che così con 20 violini fa suonare 60 ragazzi nei vari plessi.
I bambini non hanno bisogno di studiare: con la didattica reticolare dimostriamo che l’efficacia dello studio individuale è residuale rispetto all’efficacia di una buona lezione interattiva; ci sono comunque tre violini che “girano” tra i bambini che vogliono studiare. Lo studio è vissuto come premio e non come vincolo, e questa è la nuova sfida!

Anche con gli adulti?
Certamente: abbiamo realizzato ad esempio un progetto nel carcere di Matera, di cui si può vedere il servizio del TG3, grazie al link a youtube sul nostro sito (www.musicaingioco.net).
In 20 lezioni, un gruppo di detenuti che partiva da zero e che non aveva gli strumenti per studiare ha formato un gruppo soul, con risultati così soddisfacenti che la direttrice del carcere era convinta che già sapessero suonare. Alla fine mi ha detto infatti: “Siete stati fortunati, a trovare qualcuno che già suonasse!”, mentre i detenuti protestavano la loro “verginità” musicale… Per noi è stata un’ulteriore prova che, come ci stanno dimostrando le neuroscienze, l’apprendimento non passa solo attraverso il canale dello studio…

Davvero interessante, puoi spiegarci meglio?
È provato che, quando il bambino studia male e si sente dire dal maestro “non hai capito niente”, questo canale della sconfitta non solo distrugge la motivazione, ma fa cadere il picco dell’apprendimento a livelli inferiori a quelli del non-studio. Questa cosa l’avevamo già sperimentata sul campo, ma adesso ne stiamo avendo la prova scientifica, grazie all’avvio di una sperimentazione relativa alle neuroscienze applicate alla musica: i riscontri sono notevoli, sia nei test psicologici relativi all’autostima, al potenziamento dell’interesse e della motivazione, sia per il controllo dell’iperattività. Possiamo dire che si sta aprendo l’opportunità di scoprire come migliorare l’approccio allo studio, anche a quello di tipo professionale.
Ho avuto la fortuna di essere allievo di Sergio Fiorentino, che di fronte ai miei tentativi diceva “si può fare anche così”, con un relativismo interpretativo che ti faceva capire che per lui non esisteva l’archetipo dell’interpretazione, ma degli equilibri che devi cercare di trovare.
Se cominciamo a legare le scoperte pedagogiche del sociale allo studio, forse potremo ottenere qualche musicista migliore, magari creare un più efficace metodo di lavoro, e senz’altro formare una persona più serena.

Prima di salutarci, vuoi dire qualcosa circa la tua esperienza di docente al Master?
Nel Master, grazie ad un’intuizione di Antonello Farulli, Andrea Lucchesini e Bernardo Donati, insegno da tre edizioni le metodologie legate alla motivazione, cioè le pratiche legate alla didattica reticolare, e sono sempre felice di constatare l’entusiasmo degli studenti rispetto a questa proposta didattica.
Il master di Fiesole è una grande opportunità per tutti noi, studenti e docenti, di metterci in gioco rispetto alle possibili innovazioni didattiche. I docenti devono vivere l’esigenza di confronto, coesione e aderenza all’obiettivo, che è formare ‘operatori musicali per orchestre e cori infantili e giovanili’ e, pur nel rispetto delle loro idee, confrontarsi per attuare una migliore sinergia. La nuova edizione del Master sta lavorando in tal senso per permettere di restituire agli Studenti una formazione ancora più efficace e sinergica.

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