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Intervista a Boriana Nakeva

La violinista bulgara, che giunse giovanissima in Italia su invito della Scuola, vi insegna dal 1996 e da tempo siede tra i primi leggii dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Ripercorrendo insieme la storia di Boriana raccogliamo le sue considerazioni sui percorsi formativi fiesolani, alla luce di una fruttuosa esperienza sul campo.


Come ti sei avvicinata alla musica?

La mia nonna materna si chiamava Rachel Bernstein, era pianista e aveva fondato una scuola di musica a Sofia, dove sono nata. Purtroppo non l’ho conosciuta, ma la musica era di casa in famiglia: il nonno, scrittore, si dilettava con la chitarra classica e anche mia madre aveva suonato per molti anni il pianoforte, pur scegliendo alla fine altri studi universitari. Per le mie sorelle e per me – la più piccola – fu naturale iniziare molto presto a frequentare la scuola della nonna, e così tutte e tre fummo avviate allo studio del pianoforte.
Le mie sorelle non hanno continuato mentre io, dopo aver provato il pianoforte, fui attratta dal violino e chiesi di poter cambiare strumento: mia madre cercò di scoraggiarmi, ma la mia scelta fu irrevocabile. Così, passato un primo anno nella scuola di musica, chiesi di poter iniziare la scuola primaria all’interno del Conservatorio.


Era possibile iniziare fin dalle elementari?

Il Conservatorio di Sofia conteneva tutti i gradi di scuola, dalle elementari al liceo: si entrava con un esame di ammissione, perché la disponibilità di posti era limitata. Essendo nata il 1° gennaio 1972 potevo iscrivermi in anticipo, con i bambini nati nel 1971, e lo feci, ma non fui accettata: ero la più piccola, e col violino avevo fatto solo i primi passi. Mettevo giù le quattro dita, mentre gli altri suonavano già i primi concertini.


Era molto diffusa, in Bulgaria, l’abitudine di iniziare così presto con la musica?

Sì, i bambini iniziavano già a tre-quattro anni, con lezioni individuali. Principalmente si trattava di figli di musicisti, che frequentavano scuole esclusive. Fare il musicista era una professione molto prestigiosa, e così da tutta la Bulgaria i bambini più bravi venivano a Sofia a studiare al Conservatorio.


E tu?

I miei genitori alla fine non erano proprio musicisti: della mamma ho detto, mentre mio padre cantava in un coro maschile il repertorio del rito ortodosso. Era un coro celebre, si chiamava Yoan Kukuzel-Angeloglassnyat e si esibiva in tutto il mondo; ogni anno era invitato a Roma, il 24 maggio, per la festa di San Cirillo e la Giornata della cultura e della scrittura slava, e fu anche ricevuto da Papa Giovanni Paolo II.
La partecipazione al coro non era però il lavoro di mio padre, che svolgeva invece la professione di revisore dei conti. Aveva studiato teologia ed economia, ma essere un prete ortodosso, durante il comunismo, non era il massimo: era praticamente proibito andare in chiesa, specialmente ai giovani. Così mio padre si fece diacono ortodosso solo più tardi, una volta andato in pensione.
Tornando a me, mi ripresentai l’anno successivo alla selezione insieme ad altri 30 bambini, con solo 7 posti disponibili, e fui ammessa.


Come si è svolto il tuo percorso?

Ho frequentato il Conservatorio di Sofia fino alla fine del liceo: tutte le materie musicali erano di mattina, tranne la lezione di strumento che si teneva di pomeriggio due volte alla settimana. Negli anni le materie musicali aumentavano, e si aggiungevano anche musica da camera e orchestra, ma al liceo non si seguivano più le materie scientifiche, approfondendo invece contrappunto e polifonia.
La teoria musicale si studiava invece per molti anni, arrivando a conoscere bene strutture molto complesse. Comunque finita la scuola era possibile anche iscriversi all’università, scegliendo però solo tra le facoltà umanistiche.
Poiché mi attirava molto il suonare in orchestra, a 14 anni mi iscrissi alla Pioneer Philharmonic Orchestra, la prima orchestra giovanile del mondo, fondata in Bulgaria nel 1952 da Vladi Simeonov. Accoglieva bambini tra i 9 e i 18 anni, e veniva invitata regolarmente all’estero.
La mia prima tournée fu proprio in Italia, dove arrivammo dalla Bulgaria in pullman, attraversando tutta la penisola fino alla Sicilia per suonare in molte città. Per la prima volta affrontai il grande repertorio sinfonico, la Settima di Beethoven e Romeo e Giulietta di Prokofieff.
Direi che l’Italia e l’orchestra erano nel mio destino!


Tornando al tuo percorso, alla luce dell’esperienza fatta trovi dei vantaggi nella modalità con cui si sono svolti i tuoi studi musicali?

Senz’altro questo sistema aiuta i ragazzi, facendoli crescere con dei compagni che fanno la stessa cosa. Qui in Italia la musica è un’attività separata, che finisce per aggiungersi ad un percorso scolastico già a pieno ritmo. A Sofia invece, una volta ammessi al Conservatorio, gli allievi dovevano confermare ogni anno il loro impegno e le loro capacità con un esame (una cosa senz’altro molto competitiva, e quindi pesante), ma stando dentro condividevi con i compagni un percorso comune. Il Conservatorio era riservato a talenti particolari, ma in altre scuole di musica potevi studiare lo stesso e prepararti più avanti ad entrare, perché alle medie e al liceo venivano aggiunte nuove sezioni.


Hai completato i tuoi studi a Sofia?

Finii il liceo un anno in anticipo, e così presi la maturità con i ragazzi del 1971 (il progetto iniziale!). Non volevo restare ancora in Bulgaria, dove le opportunità professionali non erano così attraenti. Per acquisire il titolo più alto avrei dovuto frequentare l’Accademia per altri cinque anni, ma nel frattempo era caduto il muro di Berlino e la situazione politica stava pian piano cambiando.
Inizialmente andai in Israele, paese di cui ho la cittadinanza in virtù della nonna materna, che era ebrea. Ci ero già stata a 15 anni, ospite del fratello della nonna, e avevo studiato alla scuola di musica Keshet Eilon a Tel Aviv con Yair Kless. Lo zio aveva insistito perché restassi, ma a quei tempi c’era il comunismo, e rimanendo avrei causato problemi alla mia famiglia.
Grande appassionato di musica, lo zio mi portava ai concerti della Israel Philharmonic e così potei ascoltare per la prima volta dal vivo un concerto diretto da Zubin Mehta con la partecipazione di Itzhak Perlman, che fu molto emozionante perché erano due miti per me. Dovetti comunque tornare a Sofia a finire il liceo ma, come dicevo, una volta presa la maturità mi iscrissi all’Accademia Rubin di Tel Aviv, dove studiai con Arthur Zissermann.
Le mie vicende personali si intrecciarono però con i fatti della storia: nel 1991 scoppiò la guerra del Golfo e così mi trovai in una situazione difficile, con la maschera antigas nello zaino e mia madre che chiamava spaventata.
Quell’anno fu pesante, ma per fortuna con me c’era la mia sorella maggiore, che si trovava a Tel Aviv per studiare all’università. Ricordo che, quando iniziarono i bombardamenti, credendo che si trattasse di bombe chimiche indossammo le maschere antigas, secondo le indicazioni governative, e chiudemmo il nostro cagnolino in un armadio ricoperto di stracci imbevuti di aceto. Vedendolo poi ansimare, eravamo disperate pensando fosse l’effetto del gas, mentre invece era solo l’effetto dell’aceto…


Non rimanesti a lungo in Israele…

In una masterclass estiva incontrai quell’anno Andrea Cappelletti, che insegnava alla Scuola di Musica di Fiesole. Fu Cappelletti a propormi di venire a studiare in Italia, dove tra l’altro nel frattempo si era trasferita l’altra mia sorella, così dalla Scuola partì un invito formale, con i relativi documenti, e potei venire in Toscana.
Non dimenticherò mai l’aiuto ed il sostegno ricevuto da Andrea Cappelletti, Piero Farulli e Adriana Verchiani, che qui a Scuola mi sostennero con borse di studio e concerti, mentre davo una mano in segreteria.
Studiai con Andrea Cappelletti per un anno, poi il maestro mi mandò all’Accademia Menuhin a Gstaad, dove aveva studiato anche lui. Quell’anno in Svizzera fu per me molto duro: avevo 20 anni, la scuola era un po’ troppo competitiva e la vita nel paesino poco attraente. Studiavo otto ore al giorno con grandi maestri come Alberto Lysy, Humberto Ridolfi e Liviu Prunaru, ma continuavo a desiderare di tornare in Italia, e così feci.
A Fiesole ho frequentato i corsi di perfezionamento di Norbert Brainin (primo violino del mitico Quartetto Amadeus), Pavel Vernikov, Ștefan Gheorghiu e il corso per violino di spalla tenuto da Giulio Franzetti.
Con Pavel Vernikov i contatti si sono mantenuti stretti, e spesso mando i miei allievi alle sue masterclass, per riceverne i preziosi consigli. In questo momento particolare desidero – e credo di poter parlare a nome di tutta la Scuola – manifestare la mia solidarietà a lui ed a tutti i musicisti ucraini e russi che si trovano stretti dall’angoscia, in uno scenario devastante di guerra e distruzione che non avremmo immaginato nel peggiore degli incubi.
Per tornare alla mia storia, avevo intanto preso atto che il mio diploma bulgaro non era riconosciuto legalmente in Italia, sostenevo l’esame di diploma del vecchio ordinamento e poi conseguivo la laurea magistrale al Conservatorio di Firenze.
Ero molto stupita che in Italia non ci fosse un’università musicale, che invece è arrivata dopo con il Triennio e il Biennio.


A questo punto eri pronta per l’attività professionale; hai iniziato subito ad insegnare?

Nel ‘95 cominciai come assistente di una docente di quegli anni, Marilena Runza, e feci qualche sostituzione; andò molto bene, e così nel 1996 ebbi una mia classe di violino. Presto ho scoperto che insegnare mi piaceva molto, e che riuscivo a creare un buon rapporto, anche sul piano umano, con gli allievi.


Iniziasti subito anche l’attività in teatro?

No, l’orchestra è venuta dopo. All’inizio, senza la cittadinanza italiana, non potevo entrare stabilmente nelle orchestre. Venivo chiamata spesso, anche in ruoli solistici, dall’Orchestra da camera fiorentina diretta da Giuseppe Lanzetta, il quale mi aiutò molto ad inserirmi nell’ambiente musicale della città. Partecipavo ai concerti organizzati dalla Scuola e a concorsi di esecuzione musicale.
Nel frattempo avevo conosciuto mio marito, Leonardo Manaresi, che è il fratello di Luigi (pianista e docente alla Scuola ndr), col quale ho fatto molta musica da camera. A Fiesole abbiamo frequentato le lezioni del Trio di Trieste, mentre Franco Rossi ci ha seguito per molto tempo alla Scuola di Musica di Sesto; ricordo anche lui con grandissimo affetto ed enorme ammirazione.
L’attività cameristica è stata fin dall’inizio molto intensa: formammo il Quartetto Anghelos con Annalisa Garzia, Valentina Berzi e Sara Nanni. Il quartetto esiste ancora, anche se per motivi di incompatibilità di orari abbiamo dovuto sostituire la viola con la collega Lia Previtali.
Oltre che in quartetto sono attiva anche in trio d’archi con Sara e Lia, mentre con Luigi Manaresi abbiamo fatto tante cose insieme in varie formazioni, compresi alcuni dischi in collaborazione con Edoardo Rosadini e Paolo Grazia.
Ad un certo punto avevo perfino costituito una nuova formazione, l’Orchestra Città di Firenze, con cui abbiamo fatto due tour, uno in Giappone e il Toyota Tour 2010, in otto paesi asiatici.


Poi hai ottenuto la cittadinanza italiana

Infatti, e così ho potuto mettere a frutto la preparazione che avevo acquisito con Giulio Franzetti, come dicevo, partecipando con successo alle audizioni per entrare in orchestra.
Nel 2000 cominciai a suonare nell’Orchestra della Toscana, con cui ho collaborato per sei anni. Nel 2006 feci l’audizione al Maggio e cominciarono a chiamarmi, finché nel 2007 ci fu il concorso, che vinsi diventando stabile. Dopo qualche anno ho sostenuto anche l’audizione interna per il terzo posto con obbligo del concertino, e questo è oggi il mio ruolo nell’orchestra.
Ho collaborato anche con altre compagini importanti, ma la nascita di mia figlia Sara ha modificato un po’ il mio stile di vita.


Far parte dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino ti rende orgogliosa

Certamente! Lavoriamo con i più celebri musicisti e l’attività è molto varia, comprendendo l’opera, il repertorio sinfonico e anche il balletto. La presenza continuativa di un grande artista come Zubin Mehta ci ha permesso esperienze fantastiche, che sono così tante da non potersi citare tutte.
Voglio solo ricordare l’emozione grandissima di portare in scena sotto la sua direzione L’Anello del Nibelungo (con la Fura dels Baus) e La donna senz’ombra, ma anche Elektra e La piccola volpe astuta con Seji Osawa, Pelléas et Mélisande con Daniele Gatti.
Con il Maestro Mehta abbiamo girato il mondo, e oltre alle tante esperienze belle ci sono stati anche momenti difficili: eravamo in Giappone quando ci fu il grande terremoto del 2011, con l’incidente della centrale di Fukushima.
Tra i concerti sinfonici un’esperienza speciale è stata l’inaugurazione, nel dicembre scorso, del nuovo Auditorium intitolato a Zubin Mehta, con la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Considero poi un privilegio assoluto aver suonato vicino a violinisti eccelsi come Pinchas Zukerman, Maxim Vengerov, Leonidas Kavakos, Julian Rachlin, Vadim Repin, Janine Jansen… solo per citare alcuni dei grandi maestri che passano da Firenze.


In orchestra la squadra fiesolana è molto nutrita

Sono davvero molti i professori d’orchestra legati alla Scuola, sia perché tanti di loro vi insegnano, sia perché ne sono stati un tempo allievi, oppure tutte e due le cose insieme. Attualmente ci sono una quindicina di professori del Maggio che insegnano a Fiesole.
Moltissimi sono poi i musicisti che sono cresciuti alla Scuola o che comunque hanno frequentato a Fiesole i corsi di perfezionamento ed i corsi di qualificazione dell’Orchestra Giovanile Italiana, e alcuni sono tornati per preparare le file dell’OGI.
L’impronta fiesolana nell’Orchestra del Maggio è forte, e allo stesso tempo il fatto che i professori insegnino crea un circuito virtuoso di restituzione dei doni musicali ai più giovani.


Quanto aiuta l’esperienza dell’orchestra nell’insegnamento?

Essere attivi nel concertismo è molto importante per poter insegnare, e penso che ciò che faccio in orchestra mi serva tantissimo. Negli ultimi anni ho quasi esclusivamente allievi grandi, dopo aver insegnato anche ai più piccoli per tanto tempo. Mi pare di essere più utile, in questa fase della mia vita, a preparare gli allievi nel Triennio, con un repertorio più avanzato, compresi i passi orchestrali.
A proposito dell’osmosi tra la Scuola e l’attività in orchestra, mi auguro che vengano presto ripresi i progetti di collaborazione ai quali anch’io ho partecipato in passato: mi riferisco alle occasioni in cui l’Orchestra Giovanile Italiana si univa all’Orchestra della Toscana, al Maggio o all’Orchestra Cherubini sotto la direzione di Riccardo Muti. Penso sia un’esperienza importante, per i ragazzi, quella di suonare accanto agli insegnanti e vivere dall’interno la loro futura professione.


Hai visto nel tempo la Scuola evolversi e cambiare. Quali sono secondo te i suoi punti di forza? In che modo vorresti andare avanti?

Il fatto che dal 2013 possiamo certificare gli esami è stato importantissimo. In questo senso il lavoro di strutturazione dei percorsi che abbiamo fatto durante la direzione artistica di Andrea Lucchesini è stato fondamentale. Le linee guida sono utili perché, senza nulla togliere alla libertà di ogni insegnante, armonizzano la formazione degli allievi della Scuola in modo più chiaro e omogeneo.
Oggi Fiesole accoglie i piccolissimi e li accompagna per mano fino al Triennio, ed è davvero fantastico. In particolar modo la Scuola si distingue per le sue orchestre, che partono con i più piccoli e arrivano alla Giovanile con un percorso davvero completo.
Manca invece un autonomo Biennio fiesolano, che spero sia la prossima tappa di crescita. Mi piacerebbe creare un percorso magistrale concentrato sullo strumento, la musica da camera e l’attività di orchestra, come avviene all’estero, mentre nei conservatori italiani si ripetono spesso le materie già fatte nel I livello.
Sono contenta infine che quest’anno i giovani violinisti della Scuola possano partecipare alle masterclass dei docenti del perfezionamento: questo permette ai ragazzi di incontrarli a Fiesole e anche a noi insegnanti di avere uno scambio con musicisti di grande spessore.


Quando gli allievi arrivano al Triennio da altre esperienze come li accogli?

Se sono indietro rispetto al livello richiesto cerco di aiutarli a risolvere i problemi senza demolirli, ma anzi incoraggiandoli a partire da ciò che di buono hanno già imparato; soprattutto insegno loro ad ascoltarsi e a diventare pian piano autonomi, ponendo particolare attenzione alla tecnica della mano destra, alla cura del suono e al fraseggio.
Alle ammissioni gli allievi che hanno studiato fin da piccoli a Scuola sono più avanti degli altri, ma il nostro percorso è molto impegnativo e non tutti riescono a conciliarlo con la scuola superiore. Penso che sia giusto e importante offrire ai piccoli tante esperienze soprattutto di gruppo, perché hanno bisogno di stare con gli amici, ma negli anni del liceo dovremmo pazientare: il repertorio diventa sempre più difficile e il liceo richiede molte ore di studio.


Spesso però sono gli stessi allievi interni a desiderare un ingresso anticipato nel Triennio

Non sono d’accordo, considero prematuro iniziare il percorso accademico a metà del liceo. L’esperienza già fatta ci dice che i ragazzi fanno fatica, sono stressati e non riescono comunque a finire nei tempi giusti.
Il grande salto lo fanno quando, finita la scuola secondaria superiore, si dedicano di più alla musica; se sono avanti dal punto di vista strumentale dovremmo offrire loro esperienze gratificanti, per esempio accoglierli nell’Orchestra Galilei o nei gruppi da camera più avanzati, ma non farli entrare nel meccanismo delle lezioni (tra l’altro anche in orario mattutino), degli esami e dei crediti del Triennio, davvero troppo pesanti da sostenere insieme al percorso liceale. Fra l’altro questo ci consentirebbe di avere un organico orchestrale più ampio e quindi far ruotare gli allievi nelle varie produzioni.
Mi piacerebbe anche che si potessero incrementare le ore di lezione di strumento, via via che si prosegue nei corsi avanzati. Un monte ore crescente, tra il primo e il terzo anno del triennio, dovrebbe accompagnarsi a classi più piccole, nelle quali magari oltre alla lezione individuale ci sia spazio per una lezione collettiva, un paio di volte al mese, su specifici aspetti tecnici che interessano tutti gli allievi.


La direzione artistica ritiene molto importante che gli allievi siano preparati anche sul piano dell’esecuzione storicamente informata. Come ti poni in questo senso?

Vorrei dire intanto che sono contenta che la Scuola sia guidata adesso da Alexander Lonquich, un musicista aperto a nuove idee, che ascolta anche le proposte e i suggerimenti degli insegnanti cercando di conoscere sempre meglio la Scuola e di farla crescere ancor di più a livello internazionale.
Per quanto riguarda la prassi esecutiva storicamente informata sono pienamente in linea con questa esigenza, sempre più presente nel mondo musicale attuale. Sto incoraggiando i miei allievi a seguire le lezioni di musica d’insieme con prassi esecutiva e strumenti storici tenute da Paolo Cantamessa qui a Fiesole, anche se il corso è attualmente facoltativo. Vorrei invece che la prassi barocca fosse inserita a pieno titolo nel piano di studi.
Anche in orchestra facciamo esperienze di questo tipo, ad esempio con Federico Maria Sardelli (anche lui collega fiesolano), utilizzando strumenti moderni. Trovo che sia necessario conoscere le prassi esecutive attinenti alle varie epoche, anche se le scelte radicali (corde di budello, accordatura a 415 Hz ecc.) rendono complicato accostare in uno stesso concerto autori di secoli diversi.
Ritengo molto importante anche la conoscenza della musica contemporanea e sono lieta che l’abbiamo inserita nei piani di studio del percorso accademico.


Nella tua settimana fitta di impegni c’è il tempo per altre attività?

Il lunedì sono qui a Fiesole, e gli altri giorni in orchestra. Mi resta solo lo spazio per un corso di perfezionamento a cadenza mensile all’Athenaeum Musicale, dove continuano a seguire le mie lezioni alcuni allievi che hanno concluso gli studi alla Scuola, ed altri che si preparano per le audizioni in orchestra.
Da poco al Maggio si è svolto il concorso per violino di fila, nel quale sono risultati idonei due giovani strumentisti: Isak Lenza, mio allievo all’Athenaeum, e Ginevra Tavani, allieva di Virginia Ceri e poi di Klaidi Sahatçi. Con Sahatçi abbiamo una stretta collaborazione, è venuto a Fiesole a fare una masterclass prima della pandemia e spero che ritorni presto, perché è un docente davvero bravissimo.
Insegnare mi piace tanto e con i ragazzi si crea un legame molto stretto: anche se si allontanano per proseguire gli studi all’estero continuano a chiamarmi, a chiedere consigli, e mi invitano a matrimoni e battesimi.
Sono orgogliosa di aver diplomato tanti ragazzi in gamba, che vanno avanti con grande serietà e magari si dedicano a loro volta all’insegnamento: è il caso di Marina Raimondi, docente di violino e di orchestre infantili, coordinatrice del dipartimento archi e referente per i corsi preaccademici. Con Marina ho un continuo scambio di idee in merito alla didattica, allo scopo di creare un percorso omogeneo per i nostri allievi. Il suo impegno appassionato mi inorgoglisce e sono convinta sia un punto di forza per la nostra Scuola.


Firenze, febbraio 2022

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