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Intervista a Edoardo Rosadini

L’energia e la passione di Edoardo Rosadini scorrono come una linfa nella Scuola: allievo di Piero Farulli e da vent’anni insegnante, Rosadini accoglie gli archi adolescenti nella sua classe di quartetto, i giovanissimi strumentisti nell’Orchestra dei Ragazzi e gli allievi del triennio nell’Orchestra Galilei, ma soprattutto raduna intorno a sé gli studenti più appassionati, che contagia inevitabilmente col suo entusiasmo, esortandoli alla massima dedizione alla causa della musica. I risultati non mancano: la recentissima vittoria di due quartetti della sua classe al Primo Concorso Piero Farulli per Quartetti d’archi Junior è l’occasione per una piacevolissima conversazione.

Raccontaci del concorso
Appena saputo di questa competizione ho iscritto due gruppi della mia classe di quartetto. L’ammissione era già prevista online, così i ragazzi hanno inviato la loro prima prova, che consisteva in due movimenti di carattere diverso, estratti da differenti quartetti. Una volta ammessi, i ragazzi hanno saputo che i gruppi concorrenti erano sette, provenienti da varie parti del mondo, e che il passaggio alla fase semifinale li aveva ridotti a cinque.

Intanto giungeva la notizia che il concorso si sarebbe svolto interamente online…
Infatti, e così abbiamo preparato il materiale richiesto, che doveva essere inviato tutto insieme: per la semifinale un quartetto intero e il tempo lento di un’altra opera, mentre per la finale due quartetti interi.
A quel punto abbiamo dovuto attrezzarci, perché un’esecuzione in pubblico è cosa ben diversa dalla registrazione in studio, in un unico video, di brani interi. Non essendo possibile fare correzioni si tratta di suonare più volte, sempre con la massima concentrazione, e poi riascoltare attentamente per scegliere la migliore esecuzione, che comunque non può essere perfetta…
Per i ragazzi è stata un’esperienza utilissima, perché hanno dovuto misurare la loro preparazione – e anche la loro emotività – di fronte ai microfoni, interagendo con i tecnici e con la mia partecipe regia.

Avete registrato a Scuola?
A Fiesole la strumentazione è ancora in fase di completamento (ma so che presto saremo operativi!) e così abbiamo trovato soluzioni alternative: anche da questo punto di vista l’esperienza è stata straordinaria, per i ragazzi ed anche per me.

In che senso?
Il Quartetto Kaleidos è stato ospitato a Montecastelli Pisano in un luogo magico, che io chiamo il “Musikverein della Toscana”. L’anima del luogo è un personaggio davvero speciale: un cardiochirurgo-musicista-liutaio, che ha scelto di vivere in un antico borgo in Val di Cecina, Montecastelli Pisano appunto, dove ha restaurato una serie di costruzioni realizzando un auditorium dall’acustica perfetta, attrezzato per registrazioni professionali.
Il borgo ospita la sua bottega di liuteria, una foresteria e spazi per realizzare incontri e master. Nell’auditorium si tengono concerti cameristici con artisti incredibili che sono suoi amici, come la spalla dell’Opera di Zurigo o il Quartetto Hagen. Proprio in occasione di un concerto di questo complesso i ragazzi hanno conosciuto il singolare medico-musicista e si è instaurata una bella amicizia; così si è presa l’abitudine di andare ogni tanto a far musica a Montecastelli Pisano, dove c’è anche una sterminata biblioteca musicale, che contiene in pratica tutta la musica da camera in edizioni fantastiche, a disposizione degli ospiti. Quando è possibile, andiamo lì, in un bel gruppo di amici e allievi, e passiamo il pomeriggio a leggere.
La lettura a prima vista è uno strumento importantissimo per ogni musicista, e praticarla abitualmente la rende divertente e di grande soddisfazione.
Abbiamo fatto così esperienze bellissime (con allievi ed ex allievi, tra cui i ragazzi Dalpiaz, Emanuele Brilli, Francesco Zecchi, Maria Salvatori, i Torriti…) e incontrato persone speciali, compresi i membri del Quartetto Hagen ed i loro figli, con cui si è anche giocato a calcio e si sono preparate le pizze nel grande forno a legna.
Un’altra volta abbiamo incontrato lì un premio Nobel per la chimica… insomma, una vera meraviglia!

Anche il Quartetto Shaborùz ha potuto approfittare di questa opportunità?
Per un problema di date non è stato possibile registrare a Montecastelli Pisano, ma anche il Quartetto Shaborùz ha trovato una soluzione fantastica grazie a Diletta Landi, violista che studia a Fiesole ed ha anche un’intensa e bellissima attività di cantante pop.
Diletta ci ha segnalato uno studio di registrazione a Montelupo Fiorentino, di cui si avvalgono celebrità come Elio (e le Storie Tese): un posto perfetto, con una strumentazione di altissima qualità affidata a Matteo Guasti, tecnico di grande capacità e disponibilità.

Tutti e due i quartetti hanno potuto quindi realizzare video qualitativamente ottimi, ma anche cementare amicizie importanti e conoscere persone speciali
Proprio così. Ovviamente le registrazioni dovevano essere concentrate in poco tempo, perciò l’esperienza è stata utilissima ma anche particolarmente faticosa: alla fine erano stremati!
Riascoltandosi hanno avuto qualche piacevole sorpresa (“…ma siamo proprio noi, a suonare così?”), ma soprattutto hanno fatto tanta autocritica, il che è altrettanto formativo.

Poi avete spedito tutto al concorso
Bisognava inviare in un’unica soluzione la prova semifinale e la prova finale. I giurati hanno ascoltato tutti e poi, nelle giornate di svolgimento del concorso (23 e 24 ottobre), hanno caricato sulla pagina YouTube di Farulli100 tutto il materiale, cui si è infine aggiunto il videomessaggio del Presidente Giuranna che annunciava i vincitori.
La nostra gioia è stata grandissima, incontenibile, per più motivi. Intanto la qualità dei concorrenti: il terzo premio è andato a quattro fratellini incredibili, dagli otto ai tredici anni, che formano lo Stars Aligned Siblings Quartet e suonano così bene da essere quasi inquietanti; inoltre la composizione della giuria non vedeva il coinvolgimento della Scuola, e questo è stato un ulteriore motivo di soddisfazione.

Al netto dei successi di cui sopra, in questo momento di fragilità generalizzata il tuo ruolo di “motivatore” è più difficile da sostenere?
In effetti la situazione è molto complicata, e si procede in modo tortuoso. L’anno è iniziato da poco, ma le difficoltà non mancano: lavorare insieme è sempre più incerto, qualcuno è in quarantena in attesa dei controlli dei compagni di scuola, o dei familiari. Ho creato una chat online per costruire l’orario, preparato il materiale da assegnare ai gruppi, ma è innegabile che il Dipartimento di musica da camera abbia sofferto più di altri in primavera, e l’attuale organizzazione (ogni tre lezioni una è online n.d.r.) ci renda il lavoro difficoltoso.
La Scuola si sta muovendo per aiutarci, e speriamo magari di poter usufruire di qualche aula esterna, per evitare le lezioni a distanza, ma in ogni caso non abbiamo (a livello nazionale) nessuna certezza di poter continuare, nelle prossime settimane.
Devo ammettere che così è più arduo concentrarsi sull’importanza di ciò che stiamo facendo: le lezioni sono un po’ più brevi ed è necessario andare dritti all’obiettivo (non sono proprio uno che guarda l’orologio, la lezione mi prende!), così dobbiamo tutti riprogrammare le modalità di lavoro. Il mio entusiasmo comunque resta forte, e non si smonta facilmente.

Anche gli studenti in mobilità hanno bisogno di un sostegno, in questo momento
Proprio così. E devo dire che la Scuola è stata ed è vicina a molti di coloro che studiano fuori: seguiamo le loro vicende con l’aiuto dello staff (Stefania Parigi, Valentina Trambusti e Gabrio Bencini della segreteria didattica) e con i docenti di musica da camera Matteo Fossi e Riccardo Cecchetti. Alcuni ragazzi in primavera si sono trovati in grande difficoltà, anche per motivi di salute; mantenere il contatto e far sentire a tutti la nostra vicinanza è un obiettivo costante. Abbiamo anche cercato di rendere più agevole il percorso, organizzando ad esempio sessioni straordinarie d’esame.

La passione didattica e il calore umano sono tutt’uno, nel tuo modo di intendere l’insegnamento. Quando hai iniziato l’attività di docente di quartetto?
Nel 1999, su incarico della Scuola. In un primo momento Piero Farulli mi aveva chiesto di prendere una classe di viola, ma non mi sentivo pronto, non era il mio terreno. Allora mi venne affidato l’insegnamento del quartetto e così ho cominciato, con una mezza classe che andava ad aggiungersi al resto della classe di Antonello Farulli, che in quel momento aveva anche il ruolo di coordinatore.

Possiamo dire che hai vissuto la Scuola in ognuna delle fasi della tua vita
Sono venuto a Fiesole a sei anni, nel 1984: mi sono presentato con l’armonica a bocca e sono uscito con il violino. L’armonica (che suonavo insieme a mio nonno) aveva incuriosito Farulli, che all’esame di ammissione apostrofò i miei genitori: “Perché non gli avete comprato un violino?”. Così ho iniziato con Undine Kerlen, un’insegnante tedesca che a Scuola curava il vivaio dei piccoli violinisti, offrendo un approccio giocoso per certi versi simile al metodo Suzuki.
Piero veniva spesso ad ascoltarci, e via via sceglieva alcuni tra noi per il passaggio alle classi successive. Fui tra i prescelti e divenni allievo di Ninetta Parisi Farulli, la moglie del Maestro. Ricordo questa esperienza con enorme tenerezza, perché la Ninetta era un personaggio straordinario, una musicista dotatissima e molto esigente (aveva aiutato Farulli a prepararsi per l’ingresso nel Quartetto Italiano sostenendo le altre parti per lui, dato che il Quartetto in quegli anni suonava a memoria), ma capace di grande dolcezza e gentilezza.
Nella classe di Ninetta c’erano Leonardo Matucci ed altri amici, un po’ più grandi di noi e quindi incaricati di accordare i nostri strumenti per le prove d’orchestra.
Ogni tanto anche la porta dell’aula di Ninetta si spalancava ed entrava Piero, scatenando il panico.
A posteriori devo pensare di avere avuto una buona tenuta emotiva, di fronte a quelle irruzioni, perché ad un certo punto il Maestro mi disse: “Il violino non lo so insegnare, ma tu…conosci la viola? …No…? Informati! Se prendi la viola ti prendo io”. Così ho comprato dei dischi, ho ascoltato la viola e ho deciso che sarebbe stato il mio strumento. Sono passato subito nella classe di Piero ed è iniziata l’avventura, che è proseguita fino al diploma, ed oltre.

Oltre alle lezioni di strumento hai approfittato anche del suo insegnamento di quartetto
Esatto: sia nel suo corso di perfezionamento, sia all’interno dei corsi di musica da camera dell’Orchestra Giovanile Italiana.
Con il Maestro ho seguito anche per cinque anni i corsi estivi all’Accademia Chigiana di Siena, dove l’impegno era di 30 giorni. Un’esperienza oggi quasi impensabile, che però mi ha regalato ricordi indelebili: una giorno Farulli ci dette il compito di presentarci al mattino seguente con una prima lettura della Grande Fuga beethoveniana: trascorremmo l’intera notte a leggere questa partitura monumentale, eccitatissimi, consapevoli che onorare l’impegno era una sfida impossibile, ma determinati a provarci.
Mentre seguivo le lezioni di perfezionamento di quartetto, il Maestro volle che frequentassi anche – per tre anni – il corso di perfezionamento di viola di Hatto Beyerle e l’Accademia del Quartetto di cui erano docenti, oltre a Piero Farulli e Hatto Beyerle, Milan Škampa e Norbert Brainin. Tutte esperienze importantissime, che la Scuola mi offriva una dopo l’altra (e contemporaneamente).
Penso spesso che sia stata una grande fortuna, avere una scuola che mi ha accolto dall’infanzia all’età adulta, continuando ad essere un luogo speciale dove poter passare dal vivaio dei piccoli all’altissimo perfezionamento senza soluzione di continuità…

La Scuola ti ha permesso anche, da subito, di frequentare il percorso orchestrale
Ad un certo punto tutte le traiettorie si sono incrociate: la viola, il quartetto, l’orchestra e la direzione d’orchestra sono diventati tutt’uno.
L’orchestra era iniziata subito, con quel gruppo che ancora oggi resta unito in una chat che si chiama “I ragazzi di Mauro”, dove Mauro è il mitico Mauro Ceccanti, primo docente–direttore dei giovanissimi della Scuola.
Come strumentista dell’Orchestra Galilei ho avuto l’onore di partecipare alle preziose lezioni di direzione di Carlo Maria Giulini, che mi apostrofava come “collega” nei corridoi (era anche lui violista), e nell’Orchestra Giovanile Italiana sono rimasto per quasi quattro anni, partecipando ad innumerevoli e fondamentali occasioni formative.
Ho iniziato poi il percorso della direzione d’orchestra, che mi ha portato a studiare sia in Italia sia in importanti centri musicali europei, incontrando persone e maestri meravigliosi.
La direzione d’orchestra è diventata così un’altra parte fondamentale della mia professione.

Lo vediamo bene, anche qui a Scuola. E quali frutti ha dato invece il percorso cameristico?
Nel 1995, nella classe di musica da camera di Riccardo Cecchetti ha preso vita il Quartetto Klimt, che ora festeggia i suoi 25 anni. Ricordo benissimo il nostro esordio in Aula Respighi, dove Lorenza Borrani, Matteo Fossi, Alice Gabbiani ed io iniziammo a suonare il Quartetto in sol minore K. 478 di Mozart. Dal 2008 Duccio Ceccanti ha preso il posto di Lorenza, che non riusciva più a conciliare la presenza nell’ensemble con i suoi impegni internazionali, ma anche con lei l’amicizia rimane fortissima. È una persona e una musicista fantastica.

E il quartetto d’archi?
Ho costituito e partecipato a varie formazioni, che per i motivi più diversi non hanno proseguito l’attività. Avevo definitivamente riposto le speranze di fare quartetto, quando pochi anni fa ho ricevuto una telefonata degli amici napoletani del Quartetto Savinio, compagni di studio a Fiesole nei corsi di perfezionamento. Mi hanno chiesto se fossi disponibile ad entrare nel gruppo, ed ho risposto che ci avrei pensato… dopo 7 minuti ho richiamato e accettato, e ne sono davvero felice! Amo immensamente andare a Napoli e mi piace tutto ciò che è partenopeo, oltre ad essere contento di suonare con amici e strumentisti straordinari (anche se ovviamente al momento la pandemia ci intralcia non poco…).

Com’è stato il passaggio dallo status di allievo a quello di docente?
Un passaggio naturale, che ha visto ancora, fondamentale, il ruolo della Scuola. Intorno ai 23, 24 anni ho cominciato a sentire il bisogno di autodeterminazione e, pur continuando a considerare i maestri un imprescindibile punto di riferimento, ho cercato le mie risposte anche in autonomia, come gli stessi insegnanti mi spingevano a fare.
Trovo che questo distacco sia molto importante per la crescita di ognuno, e che il prolungarsi della condizione di studente non sia alla fine di aiuto ai giovani di oggi che, eterni allievi, rischiano di non avere la possibilità di costruire una loro idea musicale.
Nella mia ricerca ho capito ad esempio che avevo grande desiderio di condividere con i più giovani la bellezza della musica, e nell’insegnamento ho trovato uno dei modi per farlo. Come insegnante cerco di trasmettere non solo le conoscenze, ma anche l’entusiasmo, il senso dell’importanza di ciò che facciamo, dell’impegno che suonando insieme assumiamo nei confronti dei compagni, e tutti insieme nei confronti della musica.
Considero la musica un universo meraviglioso e molto ampio, che comprende i repertori più diversi ed i generi più vari, e non ho mai voluto privarmi del piacere di abitarli tutti.
Ho frequentato anche importanti personaggi del rock e della musica leggera, coltissimi e raffinati musicisti, e li ho visti commuoversi parlando di Mozart.

Se ti paragoni agli allievi di adesso trovi differenze importanti?
Certamente la società è cambiata, rispetto agli anni ’90 in cui ero ragazzo; trovo che oggi ci sia un più marcato individualismo. Il tessuto sociale è peggiorato nell’idealità, così anche le famiglie sono un po’ diverse. È cambiato anche il rapporto tra le generazioni: i nostri nonni avevano vissuto l’esperienza della guerra, raccontavano di sofferenze, ma anche di speranze, di visioni della vita… ho l’impressione che in famiglia non si parli più di certe cose, anche perché i nonni attuali non hanno quelle storie, sono i “ragazzi” degli anni ’60.
Il mio background familiare è molto ricco, e ne sono davvero orgoglioso; mi sono solo pentito di non aver registrato i racconti dei nonni, che oggi risuonano ancora dentro di me come una memoria speciale.
I ragazzi di adesso però sono speciali lo stesso, e proprio la situazione difficile della pandemia di quest’anno me ne ha offerto una prova decisiva: hanno capacità di resistenza, passione, curiosità, sono belli e positivi… Ogni volta che li incontro sono meno critico, nei loro confronti, e anzi constato con grande gioia che lavorano con serietà, umiltà e forza di volontà ammirevoli.
Hanno oggi infinite possibilità, che facilmente tendono a creare un’incertezza di fondo; sono attrezzati a poter approfondire tutto, sono mediamente ben preparati e colti, e anche quelli che inizialmente mi sembravano meno interessanti mi stanno sorprendendo.
In ogni caso fanno tutti molta fatica, perché la strada che devono percorrere è lunga e non sempre lineare.

Però non sono soli…
Infatti, e a questo proposito vorrei sottolineare quanto sia per me importante creare un collegamento tra loro e i ragazzi di prima, che hanno seguito un percorso simile qualche anno fa. Ci tengo molto, ai legami intergenerazionali nella Scuola, così parlo loro dei “ragazzi di Mauro”, di cui fanno parte anche Amerigo Bernardi, Matucci e Fabio Torriti, Emanuele Pacifici (che è un brillante professore di matematica all’università) e Iacopo Luciani. Nel gruppo c’è anche Nicola Paszkowski, che ho avuto come guida nell’Orchestra Galilei ed è stato per me un maestro davvero importante.
D’altra parte chi è sopravvissuto a quella disciplina ne ha, di cose da raccontare!

Musica da camera, orchestra, percorso individuale… difficile conciliare tutto, con i ritmi di oggi
Difficile ma possibile, a patto che sia salvaguardato intelligentemente il tempo da dedicare allo studio.
Penso che la Scuola non sia né una Hochschule tedesca né un conservatorio statale, ma un posto speciale proprio perché offre una serie di esperienze formative diverse e complementari, che iniziano nei primi anni e seguono la crescita di ognuno, facendo sì che la preparazione degli allievi sia globale. Siamo entrati recentemente nel meccanismo accademico, che se da un lato ci ha imposto di normare più strettamente i programmi (con un grande e faticoso impegno supplementare), dall’altro ci ha liberato dalla dipendenza dai vecchi programmi ministeriali e dagli istituti presso i quali i nostri allievi sostenevano gli esami da esterni.
I ragazzi che frequentano la Scuola dovranno essere sempre di più musicisti completi, e se si faranno valere (come già accade) il merito sarà anche dell’interdisciplinarietà del percorso che la Scuola permette loro di fare. Le esperienze di musica d’insieme aiutano lo sviluppo individuale, quindi tra le varie attività non dev’esserci conflitto.

Qualche esempio pratico?
L’altro giorno seguivo le sezioni dell’Orchestra dei Ragazzi: facevamo l’Ouverture di Idomeneo, che consiste di una serie di meravigliose scale di re maggiore… scritte da Mozart. Ho detto ai ragazzi: “Le riconoscete? Avete già studiato la scala di re maggiore, vero?” Un modo per dire che in orchestra i ragazzi si trovano ad affrontare gli stessi materiali della preparazione individuale, e quindi le prove in sezioni sono un’occasione per migliorare anche la loro tecnica.
Lo stesso vale per la letteratura contemporanea. Come possono leggere un pezzo da camera con gli altri se non hanno mai visto una partitura di oggi? A Fiesole partecipano a molte iniziative ed esperienze con la musica contemporanea, anche a contatto diretto con i giovani compositori, della Scuola e non, e così imparano a leggere di tutto. Insomma, penso che ogni esperienza sia importante, e che servano soprattutto equilibrio e buon senso.

È indispensabile anche un continuo lavoro di raccordo fra gli insegnanti delle varie discipline
Fondamentale, direi, ed è un lavoro che stiamo riprendendo proprio in queste settimane, per collegare ancora di più le varie attività e rendere il percorso efficace equilibrando i carichi di lavoro, nella speranza di tornare presto a suonare tutti insieme. L’Orchestra dei Ragazzi ha un suo calendario che – Covid permettendo – sarà percorribile, senza stressare nessuno.
Sono convinto che la Scuola ottenga determinati successi (penso al concorso di cui parlavamo prima, alla vittoria del World Orchestra Festival dei Wiener Philharmoniker nel 2016, ed anche ai tanti gloriosi risultati individuali degli allievi) proprio perché è organizzata così.
Il giorno in cui dovesse divenire “soltanto” un’accademia di alto perfezionamento rassegnerò le mie dimissioni.

Negli ultimi anni ti stai impegnando anche nella gestione della Scuola, dato che siedi nel Consiglio di Amministrazione come membro dell’Associazione Amici della Scuola. Cosa aggiunge questo incarico alla tua “militanza” fiesolana?
La passione politica mi ha sempre animato, e sono contento di poter dare il mio contributo in questa ulteriore forma. Ho approfondito un po’ i meccanismi giuridici e burocratici anche grazie alla mia compagna, che ha lavorato a lungo presso la Camera dei Deputati, e così sono arrivato più preparato ad un momento delicato come il recente passaggio elettorale.
Rispetto ai primi tempi, in cui ero un po’ intimidito, adesso sono più sciolto e non rinuncio a dire la mia, soprattutto dopo aver letto bene le carte e aver chiare le implicazioni della discussione: ho un’idea ben precisa della Scuola e desidero difendere con forza i valori che reputo non negoziabili.
Ho dato la mia disponibilità al secondo mandato, e lo stesso hanno fatto gli altri rappresentanti degli Amici – il presidente Stefano Dalpiaz e le socie Barbara Montanarini e Donata Fornaciari – che il direttivo dell’Associazione ha nuovamente designato a far parte del Consiglio.
Spero che il nuovo CdA sia efficace, perché le cose da fare sono tante e importanti, per sostenere le nuove direttive didattico-artistiche di Alexander Lonquich e in generale rafforzare l’istituzione.

Un’ultima domanda: ma è vero che da bambino volevi fare… il conduttore televisivo?
Esatto! I miei miti sono Corrado e Mike Bongiorno, e in realtà anche questo sogno, in piccolo, si è avverato, in un format artigianale ma ben rodato, che prevede la mia conduzione di un gioco a quiz con quattro concorrenti e tanta musica.
Ogni volta che andiamo in scena perfezioniamo ulteriormente i meccanismi, con l’apporto di un caro amico. È un grande successo e mi diverto un sacco, ma ne parliamo un’altra volta…

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