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Intervista a Gregory Lecoeur

Gli strumenti a percussione della Scuola hanno trovato da qualche tempo una più comoda sistemazione negli spazi dello Stipo, e così è facile incontrare Gregory Lecoeur, primo timpanista dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e docente fiesolano “globale” (oltre al Corso di perfezionamento insegna anche nel Triennio e nei Corsi preaccademici) nei pressi dell’ampia aula 12, tra una lezione e l’altra.

Sorridente e sempre gentile, Gregory ha accolto il nostro invito a raccontarci qualcosa di sé, descrivendo con grande semplicità il suo articolato percorso musicale guidato, oltre che dal talento e dalla passione, da una spiccata e precoce determinazione.

Da dove vieni?
Sono cresciuto tra Chartres e Orleans, un paio d’ore a sud ovest di Parigi, in una famiglia di agricoltori. La nostra casa era una fattoria in mezzo a campi di grano, mais e girasoli.
Da piccolo era bellissimo: aria fresca, giochi in libertà e mille cose da scoprire… più avanti invece le cose si sono complicate, perché per fare qualunque cosa i miei fratelli ed io avevamo bisogno di essere accompagnati in macchina, e così siamo entrati nella modalità “mamma-taxi”.

Come ti sei avvicinato alla musica?
Il contatto è stato naturale, perché legato alla famiglia: mio padre suona il sax in una banda, così ogni venerdì sera partecipava alle prove, e due o tre volte l’anno ai concerti, cui si aggiungevano le performance all’aperto nelle varie occasioni celebrative della vita civile.
Sono sempre andato ad ascoltare questi concerti e, da quando ne ho ricordo, la mia attenzione è stata catturata da quello che succedeva in fondo, dove i musicisti si spostavano da uno strumento all’altro, cambiando postazione dalla batteria allo xilofono, ai timpani ecc. ed usavano tanti altri piccoli strumenti dai suoni diversi e particolari.

Ti è stato possibile iniziare presto a studiare musica, anche abitando in campagna?
Sì, seguendo lo schema previsto allora dagli studi musicali in Francia: in una scuola di musica, prima di poter scegliere uno strumento, dovevi fare un anno di solfeggio, ovvero imparare a leggere, cantare e scrivere la musica, e poi potevi indicare tre diverse scelte strumentali.
Così a sette anni ho iniziato col il solfeggio, e ad otto ho avuto finalmente le mie prime bacchette ed il pad di allenamento. Via via si sono aggiunti gli strumenti: il secondo anno lo xilofono, il terzo e quarto i timpani, e poi marimba e vibrafono, dove le bacchette diventano quattro. A 11 anni sono entrato nella banda, e così ogni venerdì sera il babbo ed io andavamo insieme a fare le prove…

Ad un certo punto però hai cercato una scuola più importante
Piuttosto presto, direi. Mentre frequentavo la seconda media il consiglio di orientamento mi aveva portato a pensare cosa volessi fare al termine del ciclo scolastico. La via normalmente percorsa dai ragazzi della zona era frequentare il liceo nella città vicina (a 15 km di distanza) e poi l’università in una città più grande. Non riuscivo a vedermi ancora così a lungo isolato in campagna, e così a 13 anni ho fatto l’esame d’ammissione al Conservatorio di Tours e sono entrato.

Perché hai scelto Tours?
Era la sede del più vicino Conservatorio regionale (in Francia ogni regione ne ha solo uno), una specie di liceo musicale dedicato a coloro che intendono intraprendere l’attività di musicista o danzatore. Il percorso permette a questi ragazzi di avere più tempo nel pomeriggio per studiare lo strumento, e così senza pensarci due volte mi sono trasferito a Tours, abitando per cinque giorni alla settimana in un convitto e tornando a casa solo nel weekend.

Come l’hanno presa i tuoi genitori?
Sono stati di grande aiuto, anche se i miei piani non coincidevano con i loro. Immaginavano che avremmo proseguito l’attività della fattoria, ma alla fine né io né i miei fratelli desideravamo farlo e così, una volta andato in pensione, mio padre ha venduto i macchinari ed affittato i campi. Riteneva la musica una strada incerta, ma era ben consapevole che anche l’agricoltura non fosse un’attività così rassicurante…

Intanto tu andavi a Lione
Ho preso il diploma a Tours a 15 anni, e a quel punto le possibilità in Francia sono solo due: Parigi o Lione. Il destino mi ha portato al Conservatorio Superiore di Musica e Danza di Lione, dove ho avuto la fortuna di incontrare François Dupin, uno dei massimi percussionisti francesi.
Aveva appena concluso i suoi 40 anni di attività all’Orchestra di Parigi, durante i quali aveva non solo partecipato a concerti memorabili, ma era anche entrato in contatto con i colleghi di altri paesi, in Europa e negli Stati Uniti. Questa sua speciale curiosità gli aveva permesso di accumulare conoscenze e di “importarle”: a lui dobbiamo ad esempio l’introduzione in Francia della tecnica Stevens (dal nome di Leigh Howard Stevens, marimbista americano), un modo diverso di tenere le bacchette per suonare la marimba.
Dupin si occupava del repertorio classico, dei passi, ed aveva un gran desiderio di trasmettere a tutti gli allievi, insieme alle conoscenze, anche la passione per l’attività in orchestra, che aveva terminato con grandissimo dispiacere, consegnandoci la sua valigia piena di bacchette.
Il corso era ben strutturato perché, oltre a Dupin, avevamo anche un altro insegnante che si occupava del repertorio non orchestrale (musica contemporanea, soprattutto).
Il secondo anno, quando purtroppo François Dupin è morto, al suo posto è arrivato un nuovo docente, bravissimo ma più interessato al solismo ed alla musica da camera, così mi sono reso conto che il mio interesse principale (l’attività in orchestra), non avrebbe più ricevuto a Lione il supporto necessario.

E così hai pensato di attraversare l’Atlantico
Grazie al fratello di un amico, ho scoperto il Curtis Institute of Music di Philadelphia. Mi è stato consigliato di tentare l’audizione, per la quale c’era un limite di ingresso a 18 anni. Non sapevo niente di questa scuola, ma mi sono informato e ho preso il primo aereo della mia vita per andare a sostenere l’esame d’ammissione a Philadelphia.
Dopo tre giorni ero di nuovo in Francia, in attesa di conoscere l’esito del concorso, e qualche settimana più tardi sono stato felicissimo di fare le valigie e partire per gli Stati Uniti.
Ho preso un congedo da Lione, pensando che dopo un paio d’anni al Curtis Institute sarei tornato a concludere il percorso triennale in Francia, ed invece sono rimasto a Philadelphia per cinque anni, conseguendo un Bachelor.

Evidentemente ne valeva la pena
Senz’altro! Il Curtis Institute è una scuola davvero speciale, fondata nel 1924 da Mary Louise Curtis Bok – grazie al gigantesco patrimonio ereditato dal padre editore – per aiutare i giovani talenti ad avere una preparazione di altissima qualità.
Gli allievi sono pochi (non più di 175) e la selezione è durissima: si è ammessi solo per meriti particolari, visto che la frequenza è totalmente gratuita. Il numero di allievi non deve superare quello necessario a comporre l’organico dell’orchestra sinfonica della scuola, e così ho potuto tentare l’ammissione solo perché quell’anno si era liberato un posto dei quattro disponibili per le percussioni (che poi ho occupato io per i successivi cinque anni!). Oltre all’orchestra, il Curtis Institute ospita pianisti, cantanti, chitarristi, compositori e direttori d’orchestra.

Ricordi qualche incontro in particolare?
Col celebre pianista Leon Fleisher: insieme abbiamo suonato la Kammermusik di Hindemith, ed è stata un’esperienza fantastica. Grazie a Fleisher, che era stato suo allievo, ho scoperto Arthur Schnabel (che non credo sia un nome noto ai miei allievi percussionisti) e sono felice di aver potuto iniziare ad approfondire una parte così importante della storia dell’interpretazione musicale del ‘900: sapere da dove veniamo è indispensabile per proseguire nel passaggio di consegne.
E ovviamente Don Liuzzi e Michael Bookspan, i miei docenti di timpani e percussioni, sono stati cruciali nella mia formazione.
Comunque gli incontri importanti sono stati parecchi, anche grazie allo stretto legame con la Philadelphia Orchestra, di cui molte prime parti insegnano al Curtis.

Quindi le occasioni di crescita si sono moltiplicate
La scuola aveva a disposizione un certo numero di biglietti gratuiti (una quindicina) per i concerti che la Philadelphia Orchestra teneva il sabato. Bisognava alzarsi presto, il sabato mattina, e andare a caccia di uno di quei biglietti, che si esaurivano in un batter d’occhio. Stavo attentissimo a non perdere nessuna possibilità di ascoltare l’orchestra, e così non solo ho sentito tutti i concerti del sabato, ma a volte sono riuscito ad assistere anche a tre o quattro concerti in una settimana. Direttore principale era in quel periodo Wolfgang Sawallisch, e gli ospiti erano i più grandi. Ho avuto anche qualche occasione per suonare in orchestra in qualità di aggiunto, ed è stata una grandissima emozione!

E com’era invece l’attività dell’orchestra del Curtis Institute?
Oltre alle varie lezioni, avevamo ogni giovedì e sabato tre ore dedicate alla lettura del grande repertorio con Otto-Werner Mueller, l’insegnante di direzione, anche lui fondamentale nel mio sviluppo musicale. Ogni settimana si affrontavano opere diverse, e più volte in un anno erano invitati al Curtis i direttori che erano in città per dirigere la Philadelphia Orchestra: così abbiamo incontrato tra gli altri Riccardo Chailly, Simon Rattle, James Levine… stando a scuola!

Ad un certo punto però hai deciso di tornare in Europa…
Dopo il primo periodo a Philadelphia ero convinto che sarei rimasto negli States, ma andando avanti mi sono accorto che il Vecchio Continente mi mancava, e così ho continuato la mia ricerca pensando a quale potesse essere la giusta destinazione europea. Ho trovato la risposta ascoltando i dischi (allora non c’era la possibilità di trovare tutto in rete…): il suono dei timpani della Royal Concertgebouw Orchestra mi ha conquistato, e così ho scelto Amsterdam.
Il biglietto da visita del Curtis Institute mi ha aperto la porta: mi sono messo in contatto con Marinus Komst, il timpanista del Concertgebouw che, fidandosi del mio curriculum, ha accettato di seguirmi anche se non mi aveva mai sentito. Così ho iniziato a frequentare il Conservatorio di Amsterdam, seguendo le sue lezioni ed anche quelle di Jan Pustjens, percussionista del Concertgebouw.
Dopo qualche mese ho iniziato a fare avanti e indietro con Firenze, una volta saputo che l’Orchestra del Maggio aveva bandito un concorso.

Quindi in breve hai raggiunto la stabilità?
Non è stato semplicissimo: una volta superata la fase eliminatoria ci sono stati i periodi di prova dei finalisti in orchestra. Per fortuna il mio periodo è stato particolarmente gratificante perché ho partecipato prima ad una produzione sinfonica a Firenze con Zubin Mehta e il pianista Yefim Bronfman, solista nel Primo Concerto di Brahms; poi siamo partiti per il Giappone, sempre con Zubin Mehta, e in un mese di tournée abbiamo fatto varie recite di Traviata e Turandot, oltre ad un paio di programmi sinfonici.
Anche una volta vinto il concorso ho dovuto pazientare non poco, a causa del blocco delle assunzioni, ma alla fine ho avuto il mio contratto stabile.

Com’è in questo periodo così difficile la vita al Maggio?
I problemi non mancano mai, ma se penso a quello che è successo nel mondo in quest’ultimo anno sono orgoglioso della vitalità della nostra orchestra: abbiamo riaperto all’inizio di giugno tenendo i concerti in streaming. Meno di una settimana dopo abbiamo iniziato un ciclo con Mehta, aprendo la sala a 200 persone, per poi passare a 600 seguendo le direttive ministeriali, e continuando con lo streaming, mentre in estate abbiamo inaugurato la Cavea allestendo all’aperto varie opere in forma di concerto.
Se mi guardo intorno nel mondo e penso al MET, dove sono fermi da mesi, e alle tante orchestre americane che hanno cancellato tutta l’attività e solo adesso ricominciano pian piano a lavorare…
A Firenze si vive giorno per giorno, con controlli sierologici settimanali: adesso i concerti sono in streaming senza pubblico, ma abbiamo intanto iniziato le prove di Otello, posticipando le recite di qualche giorno nella speranza che si possa fare.

E invece come hai incontrato la Scuola?
Sono stato chiamato quattro anni fa da Alain Meunier per il Corso di perfezionamento e sono stato molto felice di accettare. Nel frattempo il docente che mi precedeva ha lasciato la classe di base e mi è stato chiesto di occuparmi anche di quel percorso. Non pensavo di avere il tempo di farlo, ma mi hanno convinto dicendomi che avrei dovuto occuparmi solo di due allievi. Nel tempo però i numeri sono aumentati e ad esempio quest’anno devo aggiungere ai dieci allievi del Corso di perfezionamento i nove percussionisti della base. Così ho molto lavoro, qui a Scuola, e ho scoperto che… mi piace un sacco!

Non avevi mai insegnato prima?
Non regolarmente… mi capitava di ascoltare ragazzi che preparavano concorsi e audizioni, e di dar loro qualche consiglio, ma non avevo mai avuto la responsabilità dell’intero iter educativo.

È ragionevole iniziare presto?
La scoperta di ritmo e suono è immediata, così ci sono percorsi per bambini molto piccoli. Penso che però l’età migliore per iniziare qui a Fiesole con le percussioni sia tra i 7 e i 9 anni. Quest’anno ho un allievo di 6 anni e mezzo, che sono felice di aver accolto nella mia classe seguendo l’impostazione didattica della Scuola. Insieme stiamo fronteggiando le difficoltà dovute alle dimensioni degli strumenti e degli sgabelli. Per fortuna ci sono bacchette più piccole per i bambini, ed è già un grande aiuto; in realtà si producono anche batterie di dimensioni ridotte, ma si tratta di una strumentazione di cui attualmente non disponiamo.

Gli strumenti a percussione sono problematici anche per i più grandi, per gli spazi, i costi e anche per la possibilità di studiare
Proprio così! Ne abbiamo avuto una chiara prova durante il confinamento: ho continuato a seguire i miei (allora) 21 allievi online, facendomi mandare il loro materiale video e inviando i miei commenti, ma nessuno ha i timpani a casa, e se abiti in un appartamento anche esercitarsi in modo minimale può essere un grosso problema, tant’è che i percussionisti studiano normalmente a Scuola; il lockdown li ha penalizzati più di altri allievi.

Quest’anno hai dovuto rinunciare anche alla presenza del visiting professor
Con grande dispiacere, perché da quando insegno a Fiesole ho accolto con gioia ogni anno la venuta di Raymond Curfs, uno dei più grandi timpanisti di sempre. È olandese, ed ha studiato a Colonia e Berlino con insegnanti di grande prestigio tra cui Rainer Seegers, il padre del timpano tedesco.
L’ho ascoltato per la prima volta nel 2003 e sono rimasto così colpito che continuavo a pensare: “così dev’essere!”. Poi l’ho conosciuto personalmente, tramite un amico che suonava nella Mahler Chamber Orchestra e così ho avuto la fortuna di fare qualche lezione con lui: ne sono uscito trasformato! Il suo modo di suonare è personalissimo e assolutamente riconoscibile, tanto che i più grandi direttori lo cercano: Claudio Abbado lo ha voluto alla Mahler ed anche nell’Orchestra del Festival di Lucerna, mentre adesso è timpanista principale della Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks. Curfs insegna alla Hochschule für Musik di Monaco ed è spesso invitato a tenere corsi di perfezionamento in tutto il mondo: quando viene a Fiesole le sue lezioni sono richieste dai percussionisti di tutta Italia.

Oltre all’attività di docente sei “al lavoro” anche come genitore fiesolano
Mio figlio Oliver ha nove anni e suona il violoncello (a Fiesole abbiamo iniziato insieme, quattro anni fa!). Il violoncello gli piace – a momenti più e a momenti meno – ed ha la fortuna di avere un’insegnante brava come Alice Gabbiani, dalla quale anch’io imparo qualcosa, assistendo alle lezioni. Ho apprezzato moltissimo il lavoro fatto con i più piccoli dal team di Marina Raimondi nel percorso orchestrale dei Micromusici e dei Piccolissimi Musici, mentre quest’anno Oliver è passato all’ensemble Crescendo con Marco Scicli, ed ha iniziato la musica da camera con Katja Todorow. Alla Scuola è tutto molto bello, a cominciare dal luogo, e dalle tante persone che si impegnano per far bene. È una realtà unica al mondo.

Detto da te, che hai fatto così tante esperienze…
Ho frequentato scuole fantastiche, ma nessuna prende per mano i bambini così piccoli e li accompagna fino al perfezionamento, come succede qui.

La Scuola ha oggi un nuovo Direttore artistico. Cosa vorresti proporre ad Alexander Lonquich per le percussioni?
Ho molte idee per lo sviluppo delle percussioni a Fiesole: sarebbe bello avere un insegnante che cura il “vivaio”, e per i più grandi non un solo docente, ma un pool di insegnanti cui affidare i vari aspetti: marimba solistica, timpani, repertorio contemporaneo, passi d’orchestra… cercando gli specialisti di ogni settore per dare agli allievi ancora più opportunità di crescita.
Poi dovremmo fare i conti con la disponibilità di aule e di strumenti, così per il momento più che di una proposta si tratta di… un sogno!

 

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