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Intervista a Maria Grazia Cantelli

Avvisiamo Maria Grazia Cantelli che vorremmo intervistarla, e ci prepariamo a vincere la naturale riservatezza e l’atteggiamento schivo della ‘storica’ insegnante fiesolana, testimone diretta delle tante avventure di questi quarant’anni.

Come sei arrivata alla musica?
Grazie alla passione di mio padre, che alla professione di sarto univa un’attività amatoriale di canto: aveva iniziato da piccolo, partecipando nel coro infantile alle produzioni del Maggio, e continuava ad educare la sua voce tenorile prendendo lezioni.
Mi propose molto presto di iniziare col pianoforte, trovando in me terreno fertile: a sei anni cominciai, come un gioco, e ricordo con particolare affetto il maestro Renosto, un allievo di Nardi.
Entrai poi in Conservatorio, ma nella classe di organo, sempre per compiacere un desiderio paterno (in realtà per i primi anni organo e pianoforte coincidevano, come insegnamento).
Arrivò intanto il momento difficile della malattia di mio padre, e quando lui mancò ebbi un rifiuto verso la musica, e me ne allontanai per qualche tempo; presto però mi resi conto che la musica era troppo importante per me, e così ripresi, nonostante le molte difficoltà dovute alla nuova situazione familiare.

Ebbi la fortuna di incontrare Rossana Bottai, nota pianista e didatta, che univa alla competenza professionale una grande umanità: mi ascoltò e si offrì di aiutarmi. Grazie alle sue lezioni raggiunsi l’obiettivo del completamento degli studi pianistici.
Intanto il desiderio di conoscere e approfondire ancora di più la musica mi spingeva a frequentare sia la classe di composizione (da cui passai dopo il quarto anno a musica corale con Fragapane), sia quella di clavicembalo. Insegnavo già teoria e solfeggio presso l’Istituto Mascagni di Livorno, ma questo non mi impedì di conseguire anche il diploma in clavicembalo con Anna Maria Pernafelli, di seguire un corso pianistico con Giorgio Sacchetti e partecipare a seminari clavicembalistici con Gustav Leonhardt e, proprio qui a Fiesole, con Daniel Chorzempa.

Quando hai conosciuto Piero Farulli?
Era uno dei docenti di riferimento del Conservatorio di Firenze dove, in quegli anni, c’era un gran fermento di contestazione: facevamo volantinaggio, progettavamo scioperi… Piero intanto portava avanti la grande battaglia per la musica a tutti, per l’alfabetizzazione musicale  in età infantile (prima degli 11 anni non si poteva accedere al conservatorio);  ci furono tanti incontri e convegni, ai quali prendevo parte con convinzione ed entusiasmo.
La Scuola di Fiesole aveva da pochissimo  iniziato l’attività e Farulli mi chiamò, perché prendessi il posto della primissima insegnante di pianoforte, che lasciava l’incarico. Iniziai così la mia parte in questa avventura, nella sede della Filarmonica in piazza del mercato, e allora era davvero un’avventura: il sabato pomeriggio (mio giorno di lezione), nella stanza attigua gli anziani giocavano rumorosamente a carte, commentando le partite in modo del tutto irripetibile,  per le sensibili orecchie dei nostri giovanissimi allievi.

Cos’era la Scuola? Che tipo di lavoro riuscivate a fare con i bambini?
All’inizio erano solo bambini fiesolani, e le lezioni erano molto blande, con un unico pianoforte (e due stanze in tutto) e senza verifiche finali. Intanto la Scuola si configurava (nel ‘76, mi pare…) come associazione tra gli insegnanti, di cui il notaio Piccinini preparò l’atto costitutivo. Tra gli insegnanti di quei primi anni ricordo Dorina Nencetti, Mauro Ceccanti, Maria Grazi, oltre a Ninetta e Piero Farulli; c’era naturalmente Adriana Verchiani, dedita all’organizzazione e alla risoluzione dei mille problemi di ogni giorno.
Intanto ci spostavamo, prima accanto alla biglietteria del Teatro Romano, nei locali lasciati liberi dall’asilo, e  poi qui alla Torraccia, dove però occupammo dapprima esclusivamente il Villino.

Com’è stato il tuo rapporto con Piero?
Sempre improntato alla massima chiarezza, e perciò anche conflittuale: posso dire però che alle ‘sfuriate’ di Piero capitava che seguisse anche una sua telefonata di scuse. Una delle discussioni più accese tra noi si verificò durante una riunione, poiché non ero d’accordo con lui sulle scelte relative all’incremento continuo delle attività della Scuola; mi sembravano in contrasto con la reiterata lamentela circa i  pochi fondi a disposizione e con le possibilità del personale: a mio avviso sarebbe stato meglio  fare meno cose e curarle il più possibile, ma lui obiettava con voce tonante che, con questo mio atteggiamento, saremmo rimasti nelle due stanze di Fiesole.
Come sappiamo non mi ha seguito, su questa strada, e la Scuola ha continuato a crescere…

I bambini di ieri…
All’inizio l’approccio era di tipo ludico, senza esami e quindi sostanzialmente amatoriale; poi però la cosa diventò più seria, anche perché io stessa desideravo che nella mia classe il rendimento fosse di un certo livello. Cominciarono ad arrivare anche bambini più motivati, che si impegnavano di più. Tra di loro Chiara Capanni (valente pianista e docente presso la Scuola fino alla  prematura, recente scomparsa n.d.r.), che dimostrò subito – con le sue minuscole manine – una capacità notevole. Era molto bello quello che facevamo, con le prime feste della musica che vedevano i piccoli pianisti come unici accompagnatori delle classi di archi e fiati. D’altra parte ancora non esisteva la classe di musica da camera dei piccoli che abbiamo oggi…Inoltre gli insegnanti pazientavano forse un po’ di più, dinanzi alle difficoltà del giovanissimo pianista, e accettavano di fare qualche prova supplementare per metter su il pezzo, senza  ricorrere subito ad un accompagnamento professionale. Furono anni molto piacevoli: Chiara, in particolare, poté fare tante esperienze, suonando anche fuori dalla Scuola con i nostri più bravi strumentisti ad arco: Virginia Ceri, Olga Arzilli e soprattutto Leonardo Matucci. Intanto era nata l’Orchestra dei Ragazzi, dove per molto tempo fu necessario che sostenessi io la parte del clavicembalo, partecipando a tutte le lunghe prove di Ceccanti; quando Chiara fu in grado di entrare in orchestra, le passai il testimone. Fu inoltre la nostra solista per il Concerto K.414 di Mozart al Festival di Murcia, in Spagna.
Anche gli altri allievi cominciavano ad impegnarsi di più, e oltre alle nostre verifiche interne si preparavano per superare gli esami presso i vari conservatori, e i più bravi completavano il corso presso la Scuola, raggiungendo il diploma.
Così fece Chiara, che vinse anche una borsa di studio presso un’orchestra da camera svizzera, dove poté usufruire di un periodo intensivo di lezioni e concerti: capì allora cosa significavano i miei ammonimenti a non accontentarsi di essere tra i più bravi dentro la Scuola, perché una volta fuori si accorse che il livello era alto, e che le mie esortazioni a non accontentarsi dei risultati raggiunti erano un buon viatico.

…e i bambini di oggi…
Oggi mi pare che i bambini abbiano sempre meno regole e siano costretti ad essere ‘bravi’ in tutto quello fanno, a prescindere dai reali risultati che riescono a raggiungere; credo che la musica debba dare loro la possibilità di un confronto reale con se stessi e la loro capacità di essere tenaci e pazienti, dato che schiacciando solo un tasto – a differenza di quanto avviene con la tecnologia – non si è ancora fatto nulla. Nel contempo è ancora più necessario farli appassionare a questa attività, e a questo proposito credo di aver modificato anch’io il mio approccio ai piccoli, negli ultimi anni (almeno questo mi dicono gli allievi del passato, quando vengono a trovarmi in classe e sono sbalorditi dalla mia addolcita pazienza…). D’altra parte, un atteggiamento più rigido produrrebbe oggi effetti nefasti, allontanando questi bambini che invece dobbiamo in qualche modo ‘conquistare’ alla musica, anche giocando – cosa che a me rimane un po’ difficile. I tempi di apprendimento così si allungano, ma è anche vero che i bambini di oggi ricevono molte più sollecitazioni ed hanno sempre meno tempo per far proprio ciò che imparano.
Credo che il nostro lavoro qui, oggi, sia essere attraverso la musica educatori, e dare ai bambini un indirizzo ed una testimonianza di serietà: prima dei risultati, ciò che conta è il rispetto per quanto facciamo insieme, e quindi anche il loro comportamento in classe, che necessita spesso di un aggiustamento.
Talvolta l’inizio può essere scoraggiante, specialmente quando il bambino, con grande onestà, rivela di non avere un personale desiderio di suonare, ma di esser venuto a Scuola accogliendo una sollecitazione familiare: proprio di recente un caso simile mi ha stimolato a cercare una via di contatto con la pazienza e il gioco, ed è stata una grande soddisfazione vedere che i primi progressi hanno entusiasmato l’allievo, facendogli superare l’iniziale ritrosia.
La difficoltà pratica del suonare è innegabile, ma dobbiamo porre molta attenzione anche  ad evitare che il dominio tecnico non sia l’unico obiettivo del nostro lavoro. Del resto l’epoca ci mostra proprio questo: una quantità di ottimi “macinatori di note”, che però non riescono a trasmettere un’emozione autentica all’ascolto. A questo proposito ricordo ancora l’entusiasmo del pubblico, di cui facevo parte, al termine di uno degli ultimi concerti toscani di Richter, dove la perfezione tecnica non era  l’aspetto prioritario, ma si poté ascoltare  davvero la musica.

Progredire col pianoforte è così difficile?
Rispetto all’esperienza degli archi, i piccoli pianisti mostrano in media più difficoltà nel progredire, e hanno obiettivamente minori possibilità di socializzare, almeno all’inizio, attraverso la musica. Il tempo quotidianamente necessario ad imparare a suonare il pianoforte è molto, ed entra ad un certo punto in collisione con gli impegni scolastici e sociali dei ragazzi, intorno all’inizio della scuola superiore. Le famiglie, sempre più strette nei tempi, a volte credono che la scuola di musica si possa frequentare come altre attività, limitandosi alla presenza a lezione, e non calcolano la necessità dello studio individuale, a casa.
 Maggiori possibilità ci sono per quei bambini (pochi, purtroppo) che fin da piccoli frequentano con i genitori le sale da concerto, e si abituano a considerare la musica qualcosa di naturalmente presente nella loro giornata.

La Scuola compie 40 anni: come vorresti festeggiarli?
Mi piacerebbe che la scuola di base, vera colonna portante della Scuola da sempre, fosse per una volta al centro dell’attenzione, mentre in passato si è puntato di più sull’Orchestra Giovanile, o sui grandi nomi dei Corsi di Perfezionamento. Credo che la Scuola sia speciale proprio per il lavoro di base, per quell’alfabetizzazione musicale che a partire da Fiesole si è diffusa in tanti e diversi modi in questi quarant’anni.
In ogni caso mi sembra importante che la nostra rimanga una scuola per tutti, e non solo per quanti intendono fare della musica un’attività professionale.

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