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Intervista doppia: Kevin Spagnolo e Matteo Mastromarino

Entrambi hanno frequentato, giovanissimi, i corsi dell’Orchestra Giovanile Italiana e tutti e due sono adesso stabilmente impegnati nel ruolo di primo clarinetto presso orchestre scandinave, tra Svezia e Finlandia. Li abbiamo raggiunti via Skype nel gelido nord, per farci raccontare la loro storia, partendo naturalmente dall’esperienza dell’OGI.

Come siete arrivati all’Orchestra Giovanile Italiana?
Kevin: Ho studiato a Lucca, quindi avevo già sentito parlare dell’OGI e conoscevo la Scuola di Musica di Fiesole. Saputo dell’audizione mi sono iscritto alla fine del 2013, e ho iniziato il corso preparando il Concerto di Capodanno 2014, durante il quale, mentre suonavamo il Valzer di Šostakóvič diretti da Nicola Paszkowski, mi sono cadute le parti dal leggio!!
Matteo: Il Concerto di Capodanno è sempre un’esperienza estrema… io ho partecipato all’edizione 2016, e ricordo che avevo la febbre alta, quel giorno: abbiamo suonato Ravel, Bolero e La Valse, ed eravamo sotto pressione perché pochi giorni dopo ci sarebbero state le audizioni intermedie. Però ero un po’ più grande di Kevin, che mi pare abbia festeggiato i suoi 18 anni in Giovanile.
K: Proprio così… sono entrato nell’OGI prima della maggiore età, e per il mio compleanno i compagni hanno organizzato una festa a sorpresa, un pensiero molto carino!
M: Io invece ho studiato a Bari con Antonio Tinelli, un musicista di grande qualità che però svolge prevalentemente attività solistica. Su suo suggerimento avevo partecipato ad un’accademia orchestrale estiva in Germania, e l’esperienza era stata per me così entusiasmante che, tornato in Italia, ho cercato un’istituzione che facesse qualcosa di simile, così mi sono iscritto alle selezioni dell’Orchestra Giovanile Italiana e sono stato ammesso.
In molti mi avevano consigliato di intraprendere quel percorso, per il valore dell’esperienza formativa di Fiesole ed anche perché c’era la possibilità di lavorare con Giampaolo Pretto, che è stato per tutti noi un docente formidabile.
K: concordo con Matteo: Pretto ha dato una direzione alla nostra vita!

Tra il 2012 e il 2018 Giampaolo Pretto è stato il docente preparatore dell’OGI, dopo aver curato la sezione dei fiati fin dai primi anni 2000. Il fatto che – come lui – suonaste uno strumento a fiato ha comportato per voi un impegno supplementare, oppure anche gli altri strumentisti erano ugualmente sotto pressione?
M: Per noi in particolare (il gesto di Matteo è inequivocabile n. d. r.), ma penso che il suo modo di lavorare abbia permesso a tutti di prepararsi seriamente alla professione in orchestra. Credo che la serietà e la convinzione con cui Pretto ci ha insegnato il mestiere ci abbiano proprio plasmato. Esattamente come deve fare la scuola: prepararsi all’audizione, arrivare in orchestra puntuali e preparati, scaldarsi prima dell’inizio della prova, seguire con attenzione tutte le indicazioni…
K: (sorride) Ci ha “distrutti”, ovviamente in senso positivo.

La serietà del lavoro si manifestava anche attraverso il modo con cui Pretto si rapportava a voi, futuri professori d’orchestra
K: Durante le prove ci dava del lei, e il silenzio attento dell’intera orchestra, dove non si sentiva volare una mosca, è qualcosa che non ho più trovato altrove.
M: Qualche anno dopo Pretto mi ha invitato all’Orchestra Filarmonica di Torino, ed era tutta un’altra cosa, il distacco era scomparso. All’OGI si era interamente calato nel ruolo dell’insegnante rigoroso proprio per aiutarci a capire, e così facendo ci ha insegnato a portare rispetto, a noi stessi ed all’orchestra; così oggi, quando vado a lavorare, porto con me quell’approccio e sono convinto che la Giovanile sia stata l’esperienza d’orchestra più importante e formativa della mia vita.

Avete partecipato all’attività di altre orchestre giovanili?
K: Ho collaborato a due progetti con la Gustav Mahler Jugendorchester, dove un “tutor” dei fiati e un direttore giovane ci preparavano, e solo successivamente il direttore ospite ci guidava in concerto.
Alle prove imparavamo tutti insieme, con un risultato di gran livello, ma non era proprio una scuola, e nemmeno un’esperienza simile all’orchestra professionale, dove i tempi sono molto più ristretti.
Il lavoro in Giovanile era più attento alla preparazione di ciascuno, sia per l’intonazione ed il ritmo sia per la costruzione musicale di ogni frase.
M: I miei due anni alla Cherubini sono stati più simili al lavoro di un’orchestra professionale, mentre essendo l’OGI una scuola d’orchestra, le prove proseguivano per otto ore complessive, di ininterrotta concentrazione. Così facendo all’OGI ho imparato il mestiere, e ora che siamo in orchestre scandinave, dove si prova per quattro ore al giorno al massimo, so come arrivare preparato… non ne sarò mai abbastanza grato a Giampaolo Pretto!

Quali produzioni OGI ricordate con più entusiasmo?
K: Per me sono state fantastiche in particolare due esperienze: il tour con John Axelrod con la Quinta Sinfonia di Čajkovskij e la trasferta a Salisburgo per la Clemenza di Tito, con due settimane al Mozarteum. È stato bello stare fuori, abbiamo avuto molte repliche e siamo entrati in una sorta di routine operistica, che per me era un’assoluta novità.
M: Anch’io ricordo in particolare due esperienze: la prima fu il concerto con Jeffrey Tate al Festival di Ravello, con la Sesta Sinfonia di Beethoven, in cui il clarinetto ha una parte significativa. Suonavo il solo in maniera abbastanza convenzionale e Tate aveva il dono di essere “diverso”, di saperti mostrare un’altra possibilità… mi ha aiutato a definire il genere di musicista che vorrei essere. L’altra esperienza speciale è stata la partecipazione al corso di direzione d’orchestra di Daniele Gatti all’Accademia Chigiana di Siena: non ho mai visto nessuno dirigere in quel modo e non ho mai suonato così bene in vita mia. Anche lì lavoravamo sulla Sesta di Beethoven; gli allievi erano bravi e preparati, ma quando Gatti saliva sul podio per mostrare loro con quale gesto si potesse far musica, era vera magia! Anche se non abbiamo fatto un concerto diretti da lui, quell’anno, la mia prima masterclass di direzione – ne ho fatte poi altre due molto interessanti, con Riccardo Muti nell’Italian Opera Academy – è stata un momento di formazione importante, un corso nel corso.

Pur provenendo da scuole diverse siete confluiti al Conservatorio di Ginevra. Cosa vi ha portato in Svizzera?
K: Ho concluso il mio percorso a Lucca col diploma e per un anno ho studiato a Livorno, ma desideravo un’esperienza all’estero. Lucio Brancati, un giovane clarinettista stava studiando a Ginevra, mi raccontava che si trovava benissimo, così ho indagato grazie ai video e scoperto che il modo di lavorare di Romain Guyot mi piaceva, perché approfondiva proprio l’aspetto musicale del quale sentivo di aver bisogno. Avevo l’impressione di suonare in modo un po’ freddo e cercavo qualcuno che mi aiutasse ad esprimermi più liberamente.
Guyot è una persona molto estroversa ed è stato di grande aiuto per definire la mia personalità musicale. Intanto arrivava Matteo, e tutti e due abbiamo completato al Conservatorio di Ginevra il percorso di biennio superiore.
M: Per me la scelta è stata più pragmatica e strategica. Ero molto contento di studiare a Roma con Alessandro Carbonare, ma fu proprio lui nel 2017 a consigliarmi di fare un’esperienza all’estero. Essendo Carbonare un insegnante di grande livello, con allievi stranieri che vengono in Italia per avere le sue lezioni, pensai che l’esperienza avrebbe avuto senso solo in una scuola d’eccellenza.
La scuola francese era quella che mi piaceva di più, e così ho tentato l’ammissione al Conservatorio di Parigi con Pascal Moraguès e Philippe Berrod – senza successo – mentre a Ginevra sono stato ammesso nella classe di Guyot. Sono stati due anni molto intensi e impegnativi, perché oltre alla normale preparazione degli esami abbiamo partecipato al Concorso Internazionale di Ginevra, in cui io sono arrivato fino ai quarti di finale, mentre Kevin ha conquistato la vittoria.
Una volta terminato il biennio però sono stato felice di riprendere a studiare con Carbonare, anche se pochi mesi dopo ho vinto l’audizione qui in Finlandia e mi sono trasferito.

Raccontateci dove vi trovate
K: Io sono in Svezia, a Örebro, una città che dista un paio d’ore di viaggio da Stoccolma.
M: Io mi trovo a Turku, a un’ora da Helsinki. Turku è stata la prima capitale della Finlandia.
K: E Örebro una delle residenze del re di Svezia.

Un allontanamento radicale comporta solitamente belle scoperte e qualche difficoltà… per voi è stata dura?
M: Ti sorprenderò dicendo che non è stato così. Mentre a Ginevra non mi sono mai sentito a casa, qui in Finlandia mi sono bastati pochi giorni. La gente è fantastica: sono educati, gentili, disponibili, aperti e molto accoglienti. L’opposto di quello che potevo immaginare… certo, fuori la temperatura è -10°, ma vengo da Taranto (dove sono nato e dove vive la mia ragazza) ed entrambe sono città di mare, città portuali, così c’è qualcosa di simile, pur nelle differenti latitudini; Turku è stato il secondo posto, dopo casa mia, dove mi sono sentito davvero a casa!

Non dirmi che a Turku ci sono i colori di Taranto…
M: No, ma ce ne sono comunque di meravigliosi. Non ci sono i tramonti di fuoco, ma l’estate è bellissima e il cielo cristallino… un’atmosfera diversa, ma di grande fascino. E mi trovo molto bene nella Turku Philharmonic Orchestra.

E tu, Kevin?
K: Sono molto contento del lavoro nella Swedish Chamber Orchestra. Le mie radici sono geograficamente più complicate, con un padre siciliano e una madre tedesca che vivono in Toscana. Così mi capita di sentirmi a casa – oppure no – in modo abbastanza imprevedibile. Sono molto curioso, e ho voglia di continuare ad approfondire, per esempio studiando il sistema tedesco.

Ovvero?
K: Nella storia del clarinetto ci sono due tipologie diverse, il sistema francese e quello tedesco: quest’ultimo si usa solo in Germania e Austria, ed esalta le qualità sonore del repertorio classico, Mozart e Beethoven in particolare, mentre in tutto il mondo si è adottato di fatto il sistema francese. Sono in realtà due clarinetti diversi, per struttura e posizioni.
M: Il clarinetto francese ha una cameratura più larga e permette di differenziare maggiormente i colori, ed anche la meccanica è più agile. Salvo rari casi di musicisti geniali – come Blaž Šparovec, uno dei miei clarinettisti preferiti, che suona entrambi i sistemi – è difficile passare da uno all’altro.

Facciamo un salto nel passato: qual è stato il vostro approccio musicale?
M: Tutti e due i miei genitori hanno studiato musica: mia madre è un’insegnante di sostegno al liceo, mentre papà fa propedeutica musicale con lo strumentario Orff ad allievi che hanno dai 3 ai 13 anni, in una scuola di musica. Quindi anch’io ho iniziato con lui, suonando il pianoforte, che però non era il mio strumento…
K: I miei genitori non sono musicisti, ed io ho iniziato perché mia madre, in Germania, aveva avuto un’educazione musicale infantile e desiderava per i suoi figli la stessa opportunità. Ho cominciato con teoria, pianoforte e flauto dolce, e visto che con quest’ultimo ero particolarmente a mio agio sono passato al clarinetto.
Sono entrato molto presto nella banda di Bozzano, una frazione del comune di Massarosa, con un maestro paziente e bravissimo che ad un certo punto mi ha detto di non avere altro da insegnarmi e mi ha consigliato di frequentare il conservatorio. Mi sono iscritto e da lì la musica ha preso il posto centrale nella mia vita.

E tu, Matteo, come sei arrivato al clarinetto?
M: Lasciato il pianoforte, sul quale non mi impegnavo abbastanza, continuavo a partecipare agli spettacoli degli allievi di mio padre con lo strumentario Orff, come un gioco.
Nel 2003 la banda di Statte (il piccolo centro dove sono nato, alle porte di Taranto) ha iniziato l’attività, e i miei genitori mi hanno iscritto, perché volevano che facessi musica in gruppo. Ho cominciato col clarinetto piccolo, in mi bemolle… anche tu, Kevin?
K: No, il mio primo strumento era un clarinetto di plastica, rosso, ma in si bemolle.
M: (Sospetto che nella banda di Statte avessero semplicemente bisogno di qualcuno che suonasse il clarinetto piccolo…)
Intorno ai nove anni, vedendo che me la cavavo davvero bene, mia madre mi ha mandato al conservatorio. Non è stato facile comunque, perché ho avuto problemi con l’insegnante, ma ad un certo punto ho conosciuto Antonio Tinelli e le sue lezioni mi hanno aperto un mondo. Senza questo incontro fondamentale, senz’altro avrei lasciato perdere.

E intanto, come andava il percorso scolastico?
M: Faticosamente, studiando poco e proseguendo fino alla maturità classica solo per l’insistenza di mia madre, che riteneva importantissimo il liceo.
K: Anche per me è stata dura, e ho potuto concludere gli studi solo frequentando, negli ultimi due anni, una scuola privata grazie al sostegno di un generoso amico di famiglia: andare a scuola ogni giorno era divenuto incompatibile con gli impegni musicali e l’attività nell’Orchestra Giovanile Italiana. Sono molto grato a questo caro amico, che purtroppo non c’è più; tra l’altro ha aiutato anche mio fratello, acquistando per lui un flauto.

Quando avete capito che la musica sarebbe stata anche la vostra attività lavorativa?
K: Ho partecipato ai saggi, ho fatto i primi concorsi e poi alcuni piccoli concerti. Pian piano ho iniziato a capire che potevo tentare. Molti abbandonano perché c’è tanta pressione, in tutte queste situazioni; magari suonano benissimo, ma non hanno il coraggio di salire sul palco, e questo determina la ricerca di un’alternativa.
M: Avevo tanta gioia nel fare, ma vedere la fatica di strumentisti anche bravissimi mi ha insegnato a cercare di tenere aperte più porte e a prendere in considerazione l’ipotesi dell’insuccesso. Ho trovato la serenità mentale, al ritorno da Ginevra, ricominciando le lezioni con Alessandro Carbonare e affrontando con lo spirito giusto le audizioni, che da quel momento ho vinto tutte. L’ultima è stata Turku, ed eccomi qui!

Cosa fanno le vostre orchestre in questo momento?
K: Siamo impegnati in attività di registrazione e concerti in streaming. Ci sono compositori contemporanei che registrano i loro pezzi, e sono contento che la mia orchestra sia in attività, perché non sono molte le compagini che lavorano, in questo momento.
I teatri sono chiusi, ma non a livello nazionale. Rispettiamo le distanze, ma la mascherina è solo raccomandata. Lo stesso vale per i test, facoltativi anche per noi in orchestra. Rispetto a molti altri paesi abbiamo meno decessi, ma il paragone con la Finlandia ci vede più in difficoltà.
M: La Finlandia ha avuto un approccio più europeo, e le autorità hanno dichiarato di prendere l’Italia ad esempio (ne sono stato orgoglioso!); hanno chiuso i teatri, pur senza fare un lockdown totale, quando c’erano solo una ventina di casi. Abbiamo ricominciato presto l’attività con distanziamento e pubblico ridotto, e poter proseguire fino alla fine di novembre mi è sembrato un record. L’uso della mascherina è fortemente raccomandato (obbligatorio solo sui mezzi pubblici), ma bisogna dire che il distanziamento sociale in Finlandia è un dato di fatto anche a prescindere dal Covid. Qui ti lasciano il tuo spazio, anche in fila alla posta, e non ci sono assembramenti.

Ci sono altre attività musicali, oltre l’orchestra?
M: Abbiamo una stagione cameristica dell’orchestra che, in attesa del nuovo auditorium, si svolge in varie sale storiche, compreso il Castello e il Forum Marinum, con un repertorio interessante e musica di qualità. La pandemia ha determinato più occasioni solistiche, e le opportunità per crescere non mancano. Da settembre insegno anche all’università, e comunque lavorando solo 4 ore al giorno c’è tempo per progettare e studiare…
K: Una stagione cameristica organica e continuativa è tra le mie proposte alla direzione, perché attualmente l’attività da camera è piuttosto sporadica.
Come risposta alla pandemia abbiamo realizzato eventi in streaming anche solistici e cameristici in totale libertà, interagendo col pubblico.
Sono contento di aver potuto perfino registrare il cd che costituiva una parte del premio al Concorso di Ginevra, anche se fino all’ultimo ho temuto di non riuscire a farlo, perché i partecipanti venivano da posti diversi e la produttrice londinese si è detta indisponibile solo pochi giorni prima dell’inizio delle sessioni. Per fortuna abbiamo trovato un nuovo team di produttori e siamo andati avanti.

Cosa hai suonato?
K: Ho proposto alla mia orchestra di prender parte alla registrazione, e così abbiamo realizzato insieme un programma che accostava i miei luoghi: la Germania con Weber, l’Italia con Rossini e la scuola francese con il Concerto di Jean Françaix.
M: È il suo cavallo di battaglia, lo suona divinamente (tra l’altro è forse l’opera più difficile che sia stata scritta per il nostro strumento)!

Mantenete rapporti professionali con l’Italia?
K: Ho in sospeso qualche concerto, a Venezia e Lucca, e alcune masterclass per cui avevo preso accordi l’anno scorso. Volevo iniziare ad insegnare, e in realtà lo sto facendo, ma al momento online e non è la stessa cosa.
Avendo fatto anche un’audizione all’Orchestra della Scala mi capita di essere chiamato; quando sarà possibile viaggiare andrò a Milano molto volentieri.
M: Ho realizzato un piccolo progetto discografico con musica pugliese di Nino Rota, Raffaele Gervasio e Teresa Procaccini: dovrebbe uscire fra qualche mese.
In Italia mi vedrei forse più come insegnante: vorrei dedicarmi a progetti di educazione musicale nella mia città, dove mi pare manchi una scuola che sappia indirizzare i giovani clarinettisti. A Salerno Giovanni Punzi (anche lui nell’OGI, dal 2008 al 2010) ha fondato nel 2016 l’Accademia Mediterranea del Clarinetto, una realtà bellissima. Ecco, vorrei creare qualcosa di simile a Taranto, dove mi sembra che ci sia molto da fare perché si acquisisca la giusta mentalità.

Non vi piacerebbe far parte di un’orchestra nel nostro Paese?
M: Qui in Finlandia sto crescendo, e non sono certo che in Italia avrei avuto le stesse opportunità di migliorarmi. Nel nostro Paese abbiamo alcune compagini di grande livello, ma ci sono tante difficoltà di accesso: spesso i concorsi si concludono senza alcun vincitore e questo è molto frustrante, oltre che incomprensibile. Per i clarinettisti italiani è molto più consueto essere apprezzati all’estero, e attualmente sono una quindicina le prime parti italiane nel mondo.
K: Non è solo un problema italiano, come mi ha confermato il primo clarinetto dell’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, che per anni ha atteso la nomina di un collega…
M: Vero, però in Italia è frequente che al termine di un concorso ti dicano “sei bravo, ma acerbo”, oppure addirittura “sei troppo musicale”. Un’amica, al termine della prova finale, ha ricevuto il classico commento “suoni bene, ma sei un po’ giovane”.
Penso che sia davvero un errore non scommettere sui giovani bravi, come Kevin, che avendo vinto il Concorso di Ginevra ed essendo già in un’orchestra importante dovrebbe entrare per chiara fama!
K: Grazie Matteo, ma in realtà non mi dispiace stare in Svezia, cerco di godermi il momento e penso a varie possibilità per il domani, senza fretta. Come dicevo prima, non sempre in Italia mi sento a casa, e viceversa non sempre fuori mi sento lontano.
M: (sorride) vedi cosa significa non essere un “terrone”?
K: Mah… con un padre di Mazara del Vallo, sfido chiunque ad essere più meridionale di me…

Vedo che la conversazione prosegue anche senza le mie domande, perciò vi lascio chiacchierare in libertà… complimenti ad entrambi, e in bocca al lupo dalla Scuola e da tutti gli amici dell’Orchestra Giovanile Italiana!

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