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Riccucci: il clarinetto a Fiesole

Intervistiamo Giovanni Riccucci, docente “storico” sia dei corsi di base sia del perfezionamento; si è appena congedato dall’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dopo aver ricoperto per oltre vent’anni il ruolo di primo clarinetto. Al termine di un acclamato concerto diretto da Fabio Luisi, applausi e fiori in scena hanno salutato il clarinettista, che appariva molto commosso e quasi imbarazzato perché, nonostante una vita sul palcoscenico, è una persona molto riservata.

Com’è questa nuova vita senza l’orchestra?
Poiché le prime parti nell’orchestra del Maggio sono due -e quindi può capitare di essere a casa a disposizione mentre l’altro è impegnato in una produzione- i primi tempi non mi sono molto accorto della differenza… poi ho cominciato a rendermi conto che la situazione era davvero cambiata. Un po’ di malinconia è inevitabile, dopo tanti anni in teatro, anche perché suonavo volentieri e non desideravo andare in pensione; tuttavia l’attuale organizzazione degli enti lirici italiani prevede che a 61 anni e 7 mesi si raggiungano i limiti di età, e il pensionamento scatta automaticamente.

Come pensi di impegnare il nuovo tempo libero?
Innanzitutto ho dato maggiore disponibilità alla Scuola, dove da quest’anno sarò responsabile di una nuova classe di musica da camera con strumenti a fiato per il Triennio. Il repertorio cameristico che affianca i fiati agli archi e al pianoforte è ricco di capolavori.

Quindi aggiungi un tassello importante alla tua già intensa attività didattica a Fiesole…
Esatto… insegno sia nel percorso preaccademico che nel Triennio, e tengo anche il corso di perfezionamento. Sarò a Fiesole mediamente per tre giorni ogni settimana.

Nel percorso preaccademico ti occupi anche dei bambini piccoli?
Sì, contando anche sulla preziosa collaborazione di Giovanni Vai, ma la classe non è divisa: entrambi lavoriamo con tutti gli allievi, insieme, offrendo così due incontri settimanali di mezz’ora a ciascuno. Questo perché ritengo che per i primi anni di corso sia impegnativo sostenere una lezione della durata di un’ora, e comunque due incontri ci permettono, in caso di assenza di un allievo, di non distanziare troppo una lezione dall’altra.

Qual è la tipologia degli allievi del percorso preaccademico? C’è un buon vivaio?
Direi di sì… Ci sono alcuni ragazzini che sono entrati alle elementari e stanno crescendo qui, altri bambini che frequentano la classe da un paio d’anni… domani (il 21 settembre scorso n.d.r.) avremo le ammissioni e vedremo i nuovi arrivi.

C’è un’età giusta per cominciare?
Sui sette-otto anni si può già farlo, usando clarinetti più piccoli e leggeri. Fra l’altro i bambini a quest’età cambiano gli incisivi, importantissimi per tenere lo strumento, ma con qualche accorgimento si va avanti comunque.

Cosa fa un bambino piccolo che ancora non può avvicinare il clarinetto?
Chi comincia presto, nella mia classe inizia con uno strumento che è fatto come un flauto dolce ma ha l’imboccatura del clarinetto (una ditta costruttrice lo chiama clauto). È uno chalumeau, uno strumento che non ha chiavi, con un’estensione molto ridotta. I bambini della mia classe passano tutti, all’inizio, attraverso questo strumento, col quale si può lavorare più o meno un anno. Dopo bisogna passare al clarinetto, perché il numero limitato di note limita anche le possibilità di espressione e di studio.

E gli allievi un po’ più grandi?
Oltre a coloro che hanno sempre studiato qui ci sono altri che arrivano da altre scuole. In questo secondo caso c’è sempre qualcosa da cambiare, e può essere impegnativo dover correggere la posizione delle dita o della bocca sullo strumento. Cerco di aggiustare il tiro progressivamente, per non scoraggiarli.

Come organizzi il Corso di Perfezionamento?
Faccio due lezioni al mese vicine tra loro, in modo da avere il pianista collaboratore a disposizione la mattina. Posso contare sul bravissimo Bernardo Olivotto, che ha una grande esperienza ed un’approfondita conoscenza del repertorio; gli allievi fanno due lezioni individuali con me e un’ora circa di studio col pianoforte, anche senza di me. Mi sembra giusto che siano almeno in parte autonomi, così la mattina approfitto delle aule libere per farli studiare individualmente, mentre quando si fa lezione sui passi preferisco siano tutti presenti. Dall’anno scorso ho fatto ogni mese anche una piccola audizione simulata, e questo è così utile per loro che perfino alcuni ex-allievi chiedono di partecipare.

Quanto tempo dura il corso? Riesci a trascorrere con gli allievi anche qualche momento conviviale?
Cerco di farli venire tutti alla Festa della Musica, altrimenti non è facile avere il tempo… La durata del corso è triennale, ma c’è chi fatto l’esame finale chiede di rimanere. C’è anche chi dopo un anno va all’estero, oppure vince nel frattempo un’audizione… in genere cercano tutti di concludere i tre anni, durante i quali provo ad indirizzare gli allievi non solo nello studio, ma anche nella scelta di partecipare o meno ad un concorso, o sostenere un’audizione, e li sconsiglio di farlo quando ancora non sono pronti.

Di tutti gli anni e le esperienze fatte in orchestra… cosa porti con te? Quale incontro ricordi con più soddisfazione?
Più che l’evento, il momento: quando ho cominciato al Maggio, nel biennio ’94 -’95, ho suonato con i più grandi: Mehta, Muti, Giulini, Ozawa, Sawallisch, Prêtre… In quegli anni tutte le stagioni erano grandiose.
Prima di allora ero stato il primo clarinetto dell’Orchestra della Toscana: l’ambiente era splendido e avevo lavorato con grande serenità. Erano gli anni della direzione artistica di Luciano Berio, con il quale ci furono tante importanti occasioni di collaborazione. Dovendo incidere la sua Sequenza per clarinetto solo, mi recai da lui e trascorremmo un pomeriggio insieme nel suo studio, dal quale uscii con utilissimi consigli e la sua “approvazione” ad andare avanti col mio progetto discografico. Ricordo, sempre con Berio, alcune belle esecuzioni di Folk Songs, e tante altre esperienze che mi sono rimaste molto care.
Il repertorio dell’ORT era più specificamente cameristico, e si lavorava molto anche in piccoli ensemble, mentre una volta giunto al Maggio mi sono trovato sotto la lente di ingrandimento dei direttori più celebri del mondo, mentre passavo ad un altro tipo di repertorio, sinfonico e lirico.
Inoltre all’Orchestra della Toscana ero stabile, avendo vinto il concorso, mentre al Maggio inizialmente fui chiamato solo per una sostituzione; feci una buona impressione a Mehta, che mi permise di fare con lui Don Giovanni. Mi proposero poi un contratto a tempo determinato, che fu rinnovato di sei mesi in sei mesi, fino a quando nel 1997 vinsi il concorso ed entrai stabilmente in orchestra.
È stato un completamento, una naturale prosecuzione nella mia crescita di musicista, che si è avvantaggiata di altri incontri importanti, come quello con il compositore Adriano Guarnieri, con cui feci una bella esperienza con il Nuovo Ensemble Bruno Maderna.
Anche con ContempoArtEnsemble ho collaborato molte volte, ed ultimamente proprio per un nuovo lavoro di Guarnieri, Infinita tenebra di luce, andato in scena quest’anno nel cartellone del Maggio.

Intanto Piero ti aveva chiamato alla Scuola ad insegnare…
Ho insegnato qui in due momenti successivi: una prima volta negli anni ’80, dopo aver avuto per qualche tempo la cattedra al Conservatorio di Perugia. Nel periodo di transizione fra ORT e Maggio ho insegnato all’Istituto Mascagni di Livorno, così dovetti lasciare la Scuola, dove ho ripreso ad insegnare stabilmente dal 1997.

La tua famiglia è particolarmente numerosa… è stato difficile conciliare l’attività artistica con la vita domestica?
È una domanda da fare a mia moglie…! Il nostro primo figlio è nato nel 1982, mentre ero all’ORT, mentre l’ultimo, il dodicesimo, è arrivato nel 2002. Al Maggio mi sono avvantaggiato del fatto che, essendoci due prime parti, quando una certa produzione non mi vedeva coinvolto potevo dedicarmi ai ragazzi; questo anche se, essendo comunque a disposizione del teatro, dovevo esser pronto in ogni caso a sostituire il collega in caso di malattia o di impedimento improvviso. (E se il pezzo in programma era impegnativo – come ad esempio il Capriccio spagnolo di Rimskij-Korsakov o Daphnis di Ravel – bisognava comunque studiarlo a fondo).
Tornando ai nostri figli, attualmente la casa è meno affollata, perché alcuni sono ormai adulti e vivono da soli, altri studiano fuori città, e così nella nostra grande casa in centro siamo rimasti in pochi.
Tutti – tranne due, casualmente sfuggiti (sorride, n.d.r.) – hanno preso lezioni di musica, inizialmente in una piccola scuola del centro e, una volta chiusa la scuola, in casa nostra dove accogliemmo la brava insegnante di pianoforte, che è stata tutor di molti di loro…
Adesso, nella musica sono impegnati Filippo, che dopo il diploma di fagotto studia a Weimar, e Clara, che suona come me il clarinetto e si sta perfezionando a Lucerna.

E tu, come eri arrivato alla musica?
Ho cominciato suonando nella banda di S. Vincenzo, il mio paese natale, per proseguire una tradizione di famiglia che partiva dal mio bisnonno.
Piero Farulli, che a S. Vincenzo aveva una casa per le vacanze insieme al fratello Fernando, frequentava il negozio di mio padre calzolaio, dove acquistava o si faceva riparare anche le scarpe da concerto. Quando seppe che suonavo il clarinetto, senza sapere come lo facessi e con quali capacità, insistette con lui perché mi iscrivesse al conservatorio. Iniziai così a frequentare l’Istituto Musicale Mascagni di Livorno, dove trovai in Mario Del Zoppo un’ottima guida.
Vorrei raccontare un aneddoto che lo riguarda: la prima volta che suonavo sotto la direzione di Muti – mi pare nel 1995 – la Quarta Sinfonia di Beethoven, mi accorsi che il Maestro mi osservava con una certa insistenza: era abituato a vedere al mio posto Attilio Zambelli e Anita Garriot, le prime parti “storiche”, e quindi stava valutando attentamente il nuovo arrivato, incutendomi una certa soggezione.
Durante la prova mi chiese dove avessi studiato: “Forse in Germania?” ipotizzò. Ed io: “No, Maestro, in Italia ….”. “E con quale insegnante?” insistette lui. “Non lo conosce, Maestro…”. “ Mi dica come si chiama” ribatté. “Mario Del Zoppo…” risposi infine. “Dica al maestro Del Zoppo” sentenziò al quel punto Muti, “che le ha insegnato proprio bene!”. Ovviamente fui felicissimo di questa gratificazione, immediatamente “girata” al mio maestro.

A proposito di maestri, hai qualche altro ricordo legato a Piero Farulli?
Certamente…. dopo qualche anno che frequentavo l’Istituto Musicale Mascagni Piero volle incontrare sia me che un mio amico studente di flauto, Stefano Agostini; aveva portato a S. Vincenzo le parti della Sonata per viola flauto e arpa di Debussy per Stefano, e per me Märchenerzählungen op. 132 di Schumann, per viola clarinetto e pianoforte. Trascorremmo un intero pomeriggio a leggere queste parti con lui, emozionati e gratificati che facesse musica con due ragazzini com’eravamo noi.

Tipico del Maestro Farulli, direi…
Esatto…a questo proposito, ancor più tipico mi sembra un altro episodio, che vide me e Stefano Agostini ancora coinvolti col Maestro: avendo acquistato una casa sopra le colline di Cecina, a Casale Marittimo, aveva avuto l’idea di creare un consorzio musicale fra Montescudaio, Bibbona, Guardistallo e Casale, i quattro piccoli comuni collinari della Val di Cecina. Era riuscito a contagiare col suo entusiasmo un uomo politico, che da Roma venne appositamente a Casale per verificare la fattibilità del progetto, che consisteva nel restauro del piccolo teatro di Guardistallo, nel quale si sarebbero dovuti organizzare concerti.
Stefano ed io, all’epoca diciottenni, dovevamo secondo lui occuparci di questo progetto, presenziando alle riunioni e garantendo con la nostra presenza il rispetto dei suoi piani. La cosa non andò in porto, credo soprattutto a causa dell’acceso campanilismo che contrapponeva i piccoli comuni, ma fu uno dei tanti bei progetti che la mente vulcanica di Farulli concepiva e tentava di mettere in pratica, come sempre con lo sguardo puntato alla possibilità di promuovere e diffondere ovunque la musica.

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