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A colloquio con Mathias Deichmann

Alto e imponente, incute col suo aspetto teutonico un’iniziale soggezione, ma il suo sguardo è dolce, il tono pacato e gentile, e conversare con lui è davvero piacevole ed interessante.
Lo abbiamo incontrato a Scuola in occasione della sessione estiva dell’Accademia Europea del Quartetto, alla quale non manca mai di partecipare, sia in quanto Presidente dell’European Chamber Music Academy, sia per il grande, antico affetto che lo lega alla Scuola.

Com’è arrivata la musica nella tua vita?
Avevo 8 anni e mezzo, quando i miei genitori mi hanno portato alla Scala ad ascoltare un concerto del celebre pianista Rudolf Serkin, e lo ricordo con grande emozione: la musica è arrivata insieme ad una solida amicizia, visto che Rudy era anche un carissimo amico di mio padre; quella sera, dopo il concerto, mi volle accanto a tavola e parlò quasi solo con me… conservo un ricordo indelebile della sua arte e della sua umanità.
Non ho invece avuto modo di studiare io stesso uno strumento musicale, forse a causa di un’innata pigrizia, ma più probabilmente perché, nel momento in cui avrei potuto esservi introdotto, i miei genitori si sono separati e si sono determinate altre priorità.

Questo non ti ha impedito di occuparti di musica con grande passione…
Infatti, sono stato sempre vicino alla musica: il mio più grande amore è per la musica da camera, ma ho sempre avuto un forte interesse anche per altri tipi di musica; per diversi anni ho seguito la musica popolare, partecipando attivamente all’avventura culturale ed umana del Nuovo Canzoniere Italiano, e con tanti amici ho prodotto dischi e registrazioni. Inoltre sono stato per molto tempo –sempre coinvolto da amici- editore di dischi jazz per collezionisti: incisioni rare di concerti dal vivo, soprattutto… e anche qualcosa di musica contemporanea, ad esempio i lavori di Giacinto Scelsi.

Tutto questo facendo tutt’altro…
Esatto: ho studiato storia, economia e sociologia e ho svolto l’attività di consulente per le aziende… per dirla con mia figlia, il mio mestiere è dire agli altri cosa devono fare!

Tornando alle amicizie con i grandi musicisti, oltre a Serkin ci sono stati altri importanti incontri?
Quando avevo 22 anni ho fatto da guida, autista e interprete durante un lungo tour italiano dell’Orchestra del Festival di Marlboro, diretta da Sasha Schneider, il primo violino del Quartetto di Budapest; c’erano anche Rudy e Peter Serkin, e tanti altri.
Tramite Marlboro ho conosciuto la grande violinista Pina Carmirelli, ed ho accompagnato anche lei in giro per vari concerti, tra l’Italia e la Svizzera…

A un certo punto nella tua “galleria” è apparso anche Piero Farulli…
L’incontro con Piero è stato successivo, risale alla seconda metà degli anni ’80.
Sapevo bene chi fosse Piero Farulli, ed ero molto interessato ad incontrarlo, così, approfittando del fatto che una fondazione aveva deciso di sostenere con un contributo economico la Scuola, ho pensato di venire a Fiesole a consegnare materialmente l’assegno.
Avevo appuntamento alla Torraccia alle 11.30 del mattino, ed ero convinto che, dopo una mezz’ora, sarei andato a pranzo con mia moglie sulle colline fiesolane…invece alle sei del pomeriggio eravamo ancora lì, digiuni (!) a parlare della Scuola, di musica, di pedagogia, di filosofia, di tante altre cose…
Si è creata una bella amicizia, e sono tornato spesso alla Torraccia su richiesta di Piero, che desiderava consigli organizzativi, fino all’incarico formale di far parte della Commissione Artistica della Scuola. Sono nel frattempo diventato amico di tanti che a Scuola lavorano, con una dedizione che non ho trovato in nessun’altra organizzazione.

Com’era il tuo rapporto con Piero?
Piero era uno straordinario artista, un grande uomo, un vero compagno, un amico affettuoso. Ho avuto molti momenti intensi con lui, e anche qualche scontro: ricordo, una volta, una dura discussione su aspetti del futuro della Scuola, finita in modo piuttosto brusco. La mattina dopo, a Scuola, mi guardò con faccia quasi truce -ma occhi luminosi- e mi disse : “Sì… ma forse avevi ragione anche tu.” Sapeva davvero ascoltare, e non solo la musica.

Sempre a proposito di frequentazioni musicali: cosa ha significato per te la lunga consuetudine con la Società del Quartetto di Milano?
Sono socio del Quartetto da quando avevo 16 o 17 anni, e per molto tempo sono stato anche nel consiglio direttivo; mi occupavo in modo informale della musica da camera dei giovani, così ero non solo presente ai concerti, ma accompagnavo spesso gli artisti a cena: ho conosciuto così altri musicisti, e da ogni rapporto sono scaturiti nuovi incontri e amicizie: per esempio Andrea Lucchesini, tramite il quale ho poi conosciuto Mario Brunello, e attraverso di lui Angelo Zanin del Quartetto di Venezia, e così via…

Parliamo un po’ dell’European Chamber Music Academy, di cui sei Presidente?
La storia di ECMA ha a che fare direttamente con la Scuola e con Piero, che voleva creare una nuova struttura -quella che poi si è chiamata Accademia Europea del Quartetto-, radunando tre suoi colleghi che, oltre ad essere amici, erano anche glorie di tre celebri formazioni molto diverse tra loro come Norbert Brainin (primo violino del Quartetto Amadeus), Hatto Beyerle (viola del Quartetto Alban Berg) e Milan Škampa (viola del Quartetto Smetana).
L’avventura è cominciata così, con l’idea di mettere i giovani quartettisti a confronto, in uno stesso stage, con quattro maestri di questo calibro. Il principio fondante era che non si dovesse trattare di una masterclass ordinaria, a cui partecipi per imparare dal maestro quale interpretazione dare ad un pezzo, ma che frequentare l’Accademia significasse mettere a confronto, ed utilizzare in funzione di stimolo, quattro profonde visioni della musica, magari completamente diverse.
Questo presupponeva che i discenti fossero gruppi stabili, con una preparazione tecnica e musicale già approfondita, e stessero magari già affacciandosi all’attività concertistica.
Per due o tre anni l’esperienza fu condotta secondo questo criterio, con grande entusiasmo da parte di Piero, che subito desiderava allargare il raggio d’azione e costituire un organismo realmente europeo. Con la solita ingenuità dei musicisti, e in questo caso anche dei consulenti (fra cui il sottoscritto!), abbiamo pensato che dovevamo partire da un riconoscimento formale ed economico da parte dell’Unione Europea, e che un progetto d’eccellenza come questo l’avrebbe sicuramente ottenuto.
Purtroppo le cose sono state molto più difficili: le numerose lettere spedite a Bruxelles non hanno sortito effetti pratici, e tuttavia Piero intendeva proseguire comunque, nonostante tutto. Ha chiesto quindi ad Hatto Beyerle di essere il suo “braccio armato”, in qualità di direttore. Così Hatto è andato a Vienna, Basilea, Hannover, Parigi ed Helsinki, riuscendo a coinvolgere nell’impresa importanti istituzioni musicali, ed ECMA è partita… 14 anni fa!
Ho seguito tutto questo dall’inizio. La cosa si è strutturata lentamente: ECMA si è data uno statuto, che doveva essere nazionale; l’istituzione ufficiale più vicina e più disponibile era l’Università di Vienna, così ECMA ha uno statuto di legge austriaca, anche se in realtà è una partnership strategica delle università e delle istituzioni europee che ne fanno parte come membri effettivi, e che oggi sono a Fiesole, Vienna, Grafenegg, Parigi, Oslo, Manchester, Berna, Den Haag e Vilnius. Tra i partner associati figurano numerosi festival in Austria, Francia, Regno Unito e Italia (ricordo il Festival Casals di Prades, il Festival di Gent nelle Fiandre, la Wigmore Hall a Londra, il Ravenna Festival…).

Come funziona?
Ciascuno dei partner si fa carico dell’organizzazione di una settimana di formazione, secondo criteri generali condivisi, ma con assoluta autonomia organizzativa ed economica.
Ogni ensemble viene selezionato con un’audizione e diviene aspirante. Lo rimane per due o tre sessioni, il tempo necessario per verificarne il livello e la capacità di apprendimento. Poi può divenire membro effettivo di ECMA, ed iniziare a frequentare le sessioni nei vari paesi, completando il percorso in due o tre anni, al termine dei quali avrà partecipato ad una dozzina di appuntamenti.
I gruppi sono molti, ed a loro si può aggiungere un ensemble segnalato dal partner ospitante, oppure invitato da qualcuno dei maestri, anche se non ha fatto l’audizione. Il gruppo “aggiunto” fa un’esperienza, e talvolta, dopo qualche sessione di prova, sostiene l’audizione formale: solo una volta ammesso ha diritto di partecipare come effettivo alle sessioni, che sono gratuite per gli allievi.

In che cosa si distinguono gli ensemble che hanno frequentato ECMA?
In generale manifestano una notevole vitalità: per l’80% sono ensemble attivi e di buon risultato anche in termini di carriera; alcuni poi sono entrati stabilmente nel circuito concertistico internazionale, come ad esempio il Quartetto di Cremona e il Meta4, contemporaneamente allievi di ECMA e totalmente diversi, ma tutti e due fortemente improntati dall’Accademia.
Come dicevamo, ECMA ha un principio di fondo: non insegna interpretazione, ma cerca di dare ai propri ensemble tutti gli strumenti per capire a fondo la musica mentre affrontano il pezzo che stanno studiando, cercando il senso profondo della scrittura e dell’esperienza musicale.

In questo senso è importante anche l’apporto di figure diverse? Penso alla presenza fiesolana di un intellettuale della musica come Alfred Brendel…
C’è sempre lo sforzo di dare ai ragazzi qualcosa in più, in termini di comprensione del mondo, anche su tematiche diverse: abbiamo avuto filosofi, storici dell’arte, e ovviamente numerosi compositori.
È importante che i giovani musicisti conoscano anche qualcosa del paese dove si tiene la sessione: li abbiamo messi in contatto con cose molto diverse, come ad esempio la danza popolare norvegese, o la musica lituana…
In tutte le sessioni c’è qualcosa che va in questa direzione. Brendel non è venuto solo a fare l’interessante conferenza su Beethoven che abbiamo ascoltato il 6 luglio scorso a Scuola, ma anche ad insegnare, ovviamente in una sua maniera, diversa dal modello ECMA. Ha fatto delle meravigliose masterclass di tipo abbastanza tradizionale, lavorando sull’interpretazione dei pezzi proposti dagli ensemble partecipanti. Non è dirigistico, ma la sua lezione è strutturata sul pezzo, ed ha lo scopo di arrivare ad un’interpretazione condivisa.
Qualcosa di molto diverso dal lavoro che normalmente fanno i docenti ECMA, che usano il brano musicale per affinare gli strumenti di conoscenza sì di quel pezzo, ma con un approccio che dev’essere applicabile anche a tutt’altro repertorio.

Come ogni anno, in qualità di Presidente dell’ECMA, hai presenziato alla sessione fiesolana… com’è andata?
Molto bene in generale, con punte di eccellenza per alcuni gruppi più pronti, che hanno dato ai maestri grandi soddisfazioni in termini di crescita veloce, di fame di capire.
Assolutamente positiva poi l’esperienza dell’execution time a Villa La Fonte. Inizialmente ero perplesso rispetto a questa modalità, ma ho dovuto ricredermi: i ragazzi amano suonare, ed è molto piacevole per loro testare il lavoro in fieri di fronte ai colleghi. C’erano anche i bambini dei centri estivi, ad ascoltare le esecuzioni a Villa La Fonte, e mi è parso bellissimo questo collegamento tra due attività così diverse, che si tengono contemporaneamente alla Scuola.
Quello che invece i gruppi non fanno mai abbastanza –anche se non mi stanco di dar loro consigli in questo senso– è ascoltare le lezioni rivolte agli altri ensemble, attraverso cui c’è tantissimo da imparare; i ragazzi pensano invece -erroneamente– che sia meglio trascorrere tutto il tempo studiando e provando…

Facciamo un passo indietro, e torniamo al punto di partenza della tua amicizia con Piero. Vorrei che raccontassi ai nostri lettori qualcosa di più sulla ‘non ancora identificata’ fondazione, il cui contributo fu da te consegnato personalmente. Ne accennavi all’inizio della nostra conversazione, ma in modo così vago da accrescere il desiderio di saperne di più, anche perché se non sbaglio il contributo non si è mai interrotto, ed è tuttora determinante per la Scuola…
Se proprio insisti… È una bella vicenda familiare, che però non racconto volentieri, credo per un’innata abitudine alla riservatezza.
Mio padre veniva da una storia politica e culturale di profondo e coerente antinazismo e antifascismo (pensa che è stato il primo tedesco ad aderire a Giustizia e Libertà!). Durante la seconda guerra abitava a Roma, come rappresentante civile della Divisione Chimica del Ministero tedesco degli Armamenti, e questa posizione gli permise di entrare in stretto contatto con i partigiani e con gli alleati, aiutando per quanto gli fu possibile molti italiani ed ebrei. Dopo la guerra è stato imprenditore, ed ha raggiunto un non previsto successo economico: quando ha ceduto la quota dell’azienda di importazione di prodotti chimici cui si era dedicato, ha voluto creare una piccola Fondazione, Omina, allo scopo di sostenere alcune realtà significative. Tre di esse sono in Italia: la Scuola di Musica di Fiesole, la Mensa dei bambini proletari a Napoli (poi confluita in altre iniziative di sostegno collegate a Libera), e il Centro educativo italo-svizzero di Rimini, che è una scuola molto particolare, estremamente avanzata sul piano pedagogico.

Perché Omina?
Si chiama Omina perché mia nonna Ada era chiamata così, come diminutivo di oma (nonna, nel tedesco colloquiale): il nome completo è Omina Freundeshilfe, che significa aiuto agli amici. Questa seconda intitolazione deriva dalla lunga frequentazione, che mio padre aveva avuto in gioventù, del salotto viennese di Genia Schwarzwald, una donna eccezionale, coltissima e amica dei grandi del suo tempo, dallo scrittore Musil al pittore Kokoschka. Durante la prima guerra mondiale Genia aveva creato, tra le altre cose, un sistema di cucine popolari a Vienna e a Berlino (“aiuto agli amici” tedeschi, in difficoltà per la carestia alimentare conseguente al conflitto).
Il circolo culturale dei coniugi Schwarzwald era frequentato come dicevo dai più importanti intellettuali e artisti del tempo, tra cui Arnold Schönberg ed il celebre architetto Adolf Loos, che aveva costruito la loro casa. Anche molti giovani erano accolti nel salotto, e tra i più assidui mio padre (che vi incontrò la mamma) e anche Rudolf Serkin.

Come è avvenuto l’incontro tra Omina –cioè la famiglia Deichmann– e la Scuola?
Omina è arrivata alla Scuola per pura casualità: mio padre aveva conosciuto –come inquilino di un suo piccolo appartamento a Milano– il musicista e scrittore Harvey Sachs, all’epoca sposato con Barbara, che insegnava a Fiesole. Sachs aveva scoperto che Hans Deichmann era un personaggio interessante, con la sua vita avventurosa e la sua pericolosa coerenza morale (davvero rischiosa, soprattutto negli anni terribili della seconda guerra) e decise di dedicare alla sua storia un lungo articolo. Il saggio apparve col titolo Der Ordinäre sul New Yorker nel 1990 (ripubblicato poi dalla Scuola in traduzione italiana, Un tipo normale – Hans Deichmann fu presentato all’Auditorium Sinopoli il 26 febbraio 2006, in una commovente commemorazione con la partecipazione di Vittorio Sermonti e gli interventi musicali di Andrea Lucchesini, del Quartetto di Fiesole e della giovanissima violinista Maria Kouznetsova, ndr.).
A mio padre, Harvey Sachs ha segnalato le cose belle che avvenivano sulla collina di Fiesole, raccontando tutto ciò che sapeva sulla Scuola, e poi ha combinato una cena a Loro Ciuffenna, in occasione di un concerto alla Pieve di Gropina. A tavola Piero inveiva contro il disinteresse per la musica da parte degli enti pubblici, e mio padre lo ascoltava con attenzione, fino a decidere –ma senza rivelarlo subito– di sostenere la Scuola attraverso Omina.
Scrisse quindi una lettera a Piero, ma sia lui che Adriana Verchiani pensarono ad uno scherzo, visto che il contributo promesso arrivava in pratica da sconosciuti. Invece era tutto vero, e così venni a Fiesole a consegnare personalmente l’assegno, nel famoso primo incontro di cui parlavamo all’inizio.
Nei primi anni questo contributo era variabile, e veniva utilizzato per colmare i disavanzi del bilancio, per poi andare a incrementare il patrimonio della Scuola.
Purtroppo i fondi di Omina non sono immensi, così, dopo la morte di mio padre, abbiamo dovuto rivedere gli accordi con la Scuola, destinando un contributo definito ad un settore specifico, che è stato individuato naturalmente nell’attività cameristica, dalla base all’Accademia Europea del Quartetto.

Per concludere… cosa vorresti nella prossima Accademia del Quartetto?
Vorrei che ci fosse una maggiore presenza di ensemble provenienti dalla Scuola, che negli anni di Piero è stata una fucina di giovani quartetti -anche grazie ad una più ampia attività cameristica dell’Orchestra Giovanile- mentre oggi sembra faticare di più a produrre gruppi stabili e di alto livello. Nel frattempo anche ECMA ha modificato l’impostazione iniziale di Piero, ammettendo oltre ai quartetti d’archi anche le altre tipologie di ensemble stabili di musica da camera. Spero perciò di vedere gruppi fiesolani ad ogni sessione ECMA in tutta l’Europa, e naturalmente anche l’anno prossimo qui a Fiesole!

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