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Intervista a Silvia Careddu

Incontrarla di persona sarà possibile molto presto, dato che Silvia Careddu ha accolto l’invito della Scuola ad insegnare nel Corso di perfezionamento di flauto, condiviso con Chiara Tonelli e Claudia Bucchini.

Per la nostra conversazione è stato però necessario avvalersi della tecnologia, perché Silvia vive all’estero, impegnata in un’intensa attività dal 2001, anno nel quale ha conquistato il Premier Grand Prix e il Premio del pubblico al prestigioso Concorso Internazionale di Ginevra. Già primo flauto presso le celeberrime orchestre viennesi e la Konzerthausorchester di Berlino, dal 2012 collabora con la Kammerakademie Potsdam ed è membro fondatore dell’Alban Berg Ensemble Wien, gruppo cameristico con residenza al Musikverein di Vienna. Silvia Careddu si dedica anche alla formazione dei giovani, in qualità di docente presso importanti istituzioni musicali di Strasburgo e Berlino.

Quindi… da dove mi stai parlando?
Da Berlino, dove insegno non solo alla Hochschule für Musik “Hanns Eisler”, ma anche alla Barenboim-Said Akademie, la scuola voluta da Daniel Barenboim ed Edward Said (letterato e saggista americano di origini palestinesi, n.d.r.) come evoluzione del progetto della West Eastern Divan Orchestra, nata nel 1999 per favorire il dialogo fra musicisti di paesi e culture storicamente nemiche, in particolare del nord Africa e del Medio Oriente.
L’accademia infatti riceve il sostegno dello stato tedesco per promuovere l’integrazione culturale dei giovani musicisti che provengono dal bacino del Mediterraneo, che non solo avvicinano la musica ad alto livello, ma sono condotti attraverso percorsi formativi umanistici, e filosofici con grande impegno, a partire dalla necessaria, ottima conoscenza della lingua inglese e dai test d’ingresso, nei quali sono valutati in ogni aspetto culturale e psicologico.
Spesso si tratta di ragazzi che devono compiere una strada lunga, e lo fanno insieme ad altri allievi che invece provengono dall’Europa, attirati dai nomi prestigiosi degli insegnanti che Barenboim ha riunito… perciò sono felice di aver accettato di dare il mio contributo, su richiesta del Maestro.

E invece come sei arrivata a Fiesole?
Grazie a Andrea Oliva, al quale mi legano profonda amicizia e stima da tanti anni. Non potendo proseguire nell’attività didattica a Fiesole, Andrea ha fatto il mio nome ad Alain Meunier, che tra l’altro era stato il mio insegnante di musica da camera al Conservatorio di Parigi. La proposta è stata accolta, ed eccomi qui! Sono felice di condividere la classe con Chiara Tonelli, che conosco molto bene…

Anche Claudia Bucchini fa parte della “squadra”
Mi fa molto piacere, anche di lei ho ovviamente grande stima. Fare insieme gli esami di ammissione, che per fortuna abbiamo previsto in presenza, è stato un bel momento per iniziare a confrontarci su come impostare il nostro lavoro, che prevede un calendario già stilato, così da permettere a tutte e tre di far fronte agli impegni e seguire continuativamente gli allievi.

Che tipo di insegnante sei?
Mi ispiro agli insegnanti che ho avuto la fortuna di avere, dai 16 anni in poi. Ognuno di loro ha contribuito alla mia crescita, aiutandomi a strutturare la mia personalità artistica. Forse perché ho sempre cercato insegnanti che fossero veri musicisti, e la buona sorte me li ha fatti trovare: a Cagliari, la mia città, ho incontrato Riccardo Ghiani, primo flauto dell’Orchestra del Teatro Lirico, un artista di grande serietà che aveva studiato in Francia con insegnanti importanti; così anch’io ad un certo punto sono andata in Francia per trovare la fonte diretta. Sono stati cinque anni pazzeschi, nei quali ho studiato tantissimo, e affiancato lezioni private e corsi di perfezionamento con Aurèle Nicolet, Raymond Guiot e Emmanuel Pahud.
Avevo capito che devi diventare un professionista già durante gli anni di studio, perché la competizione è grande. Quindi adesso, nel ruolo di insegnante, cerco, come prima cosa, di colmare eventuali lacune tecniche e di essere molto intransigente su aspetti basilari, come precisione ritmica, qualità del’’intonazione e attenzione allo stile. Nessuno ha la verità, ma bisogna porsi delle domande, cercare e leggere tanto, come mi ha insegnato Ghiani, anche se non si tratta di testi specifici per il nostro strumento (I fondamenti della scuola del violino di Leopold Mozart, ad esempio, o il Saggio di metodo per la tastiera di Carl Philipp Emanuel Bach, per intenderci).
Dare degli input è necessario, perché i giovani musicisti devono rendersi conto che sono tante le conoscenze che servono, e vanno acquisite con mente aperta e rispetto. Queste chiavi per me sono state essenziali.

Come ti accosti agli allievi delle ultimissime generazioni, che ascoltano (e vedono) tanta musica in internet e sono perciò mediamente più informati dei ragazzi di qualche decennio fa?
Sia al Conservatoire et Académie Supérieure de Musique de Strasbourg che nelle due Scuole a Berlino ho delle classi molto vivaci. Partendo dal presupposto che insegnare, e quindi trasmettere le proprie conoscenze, sia sempre un motivo di scambio, fa piacere che i ragazzi si auto-istruiscano ascoltando molta musica e frequentando concerti a più non posso.
Così è piacevole avere dei confronti con loro, accettare anche che mettano in discussione il lavoro che facciamo insieme. Però trovo che a volte si limitino a riprodurre quello che hanno sentito senza riflettere sulle motivazioni, il contesto in cui quella interpretazione si è realizzata. Questo è veramente poco utile, perché finisce per far correre ai giovani il rischio di produrre sbiadite imitazioni degli originali. Devo dire che in fondo sono felice di non aver avuto tutta questa tecnologia e i social media da studente, perché spesso costituiscono una distrazione ed uno stimolo a mostrarsi quando non si è ancora pronti. Ammetto però che c’è anche chi dà prova di una giusta curiosità, usando questi mezzi in modo intelligente… è una questione individuale, legata al carattere ed alla passione per quello che si fa.
Per me la svolta conoscitiva è stata una sferzata di Aurèle Nicolet, che senza preamboli al nostro primo incontro mi disse: “Ma quante cose non sai???” Avevo 16 anni, ma queste parole della vergogna mi hanno fatto capire che “dovevo” sapere, conoscere non solo i pezzi che stavo studiando, ma la letteratura orchestrale, operistica, la musica da camera, non quindi solo il repertorio flautistico… per esempio saper riconoscere e suonare l’inizio della Quarta di Brahms, il tema di La Mer di Debussy… insomma fare quei collegamenti che sono essenziali in ogni ramo del sapere, dalla filosofia alla scienza.
Nicolet aveva un modo di insegnare di impianto umanistico. Ci parlava di storia, filosofia, scienza… poteva essere molto duro, ma sapeva sempre creare un’armonia interna.
Cercava la coesione della classe, non escludendo certo la competizione tra noi allievi, ma faceva di essa uno stimolo positivo, creando in tutti il desiderio di migliorare e di aiutarsi mutualmente. Con Nicolet ascoltavo gli altri suonare e imparavo anche per osmosi.

Covid permettendo, la coesione sarà un obiettivo delle lezioni?
Ho chiesto di poter svolgere le lezioni in un’aula grande, perché vorrei tanto che restassero tutti ad ascoltare.
Ho grande desiderio di iniziare questo corso a Fiesole, perché so che nella Scuola la musica respira. Ogni volta che ho incontrato qualcuno che ha studiato qui, mi ha raccontato che è stata un’esperienza unica ed indimenticabile!

Dalla fase studentesca a quella professionale: com’è il passaggio?
Domanda difficile! Penso si debbano inseguire i propri sogni, ma non si possa mai decidere a priori cosa faremo, perché anche ai tempi di Mozart i musicisti cercavano di tenere aperte più possibilità. È importante avere più di un obiettivo e provare con molta determinazione – e molto studio – a realizzarlo.
Non ho una ricetta pronta, credo che le risposte si trovino via via, tentando, senza arrendersi troppo presto. Per quanto mi riguarda, per esempio, non avrei creduto che anche insegnare mi sarebbe piaciuto così tanto, quando iniziai a farlo a Berlino nel 2011.
In tema di audizioni e concorsi d’orchestra, penso sia necessario continuare a farle anche se le prime hanno esito negativo, soprattutto perché l’esperienza aggiunge possibilità, visto che strada facendo si impara anche a gestire l’emozione. Ho fatto anch’io questo percorso, pianificando le scelte e soprattutto studiando regolarmente a fondo, anche a costo di rinunciare allo svago. Prima di ogni concorso, avevo bisogno di sapere che avevo fatto il massimo per prepararmi bene. Lo stesso chiedo ai miei allievi oggi.

E come reagiscono?
Capiscono che so di cosa parlo e che non voglio fare la guastafeste. Chiedo loro molta disciplina, soprattutto durante la preparazione di appuntamenti importanti. Il che comporta il non far tardi la sera e studiare magari al mattino presto, se la giornata prevede lunghe prove in orchestra, fare un po’ di sport per scaricare la tensione e lo stress psicologico… personalmente mi hanno sempre aiutato la corsa ed il nuoto.

Come hai scelto di partecipare al Concorso di Ginevra?
In realtà c’erano altri due concorsi nello stesso periodo, quindi non riuscivo a decidermi. Fu Riccardo Ghiani a dirmi una cosa molto saggia: “Scegli il concorso in base al programma richiesto ed alla composizione della giuria. Vai dove a giudicarti saranno i musicisti che più ti piacciono”.
A Ginevra c’erano Emmanuel Pahud (presidente della giuria), Raymond Guiot, Michel Debost, Robert Dick, Jacques Zoon, Karlheinz Zöller… musicisti pazzeschi! Pensai che andando a quel concorso avrei potuto in ogni caso suonare davanti a loro, e se per caso non avessi passato neanche la prima prova, avrei comunque potuto chiedere i loro pareri e ricevere consigli illuminanti.
Ho scelto Ginevra anche perché era imposta per tutte le prove l’esecuzione a memoria, che non avevo mai sperimentato e pensavo mi avrebbe fatto fare dei progressi. Inoltre un’altra ragione per la quale scelsi Ginevra fu che la prova semifinale prevedeva un programma libero di 40 minuti, che sarebbe stato giudicato non solo per l’esecuzione, ma anche per il concetto-guida nella scelta dei brani.

Chi ti ha accompagnato in questa prova così difficile?
Ho preparato il concorso durante l’ultimo anno di studi al Conservatorio di Parigi con Pierre-Yves Artaud e la sua assistente, Florence Souchard, ma in quel periodo suonavo anche per Ghiani e Nicolet. È stato un mix ben integrato, perché questi artisti avevano ed hanno una visione simile della musica, perciò i loro consigli si integravano facilmente. Anche il fattore stress è stato preparato – per quanto possibile – col loro aiuto: per esempio Artaud mi ha fatto immaginare e preparare dettagliatamente all’ansia del concorso: il sonno che non viene, il mal di pancia, la tensione che rende difficili i gesti più semplici, come perfino… trovare in teatro la porta giusta per entrare!

La vittoria ti ha dato una visibilità speciale
Senza dubbio: è un modo per emergere tra tanti bravi musicisti che stanno facendo la tua stessa strada. Un attimo prima ero ancora una studentessa, e subito dopo non lo ero più. Ricevi da tutto questo una forza notevole, ma devi anche imparare rapidamente a gestire qualcosa di sconosciuto, e non si può essere preparati a tutto. Avevo 24 anni, abitavo a Parigi e mi sono trovata improvvisamente nel mondo dei concerti, dovendo decidere quali proposte accogliere e quali declinare. Non è stato facile, all’inizio…

Alla fine hai scelto tutto: la grande orchestra (Konzerthausorchester di Berlino, Wiener Symphoniker, Wiener Philharmoniker), l’orchestra da camera (Kammerakademie Potsdam), l’Alban Berg Ensemble Wien… com’è stato l’impatto con tutte queste compagini?
Senza dubbio molto interessante ed arricchente, soprattutto dal punto di vista umano. Sento che ognuna di queste realtà mi ha fatto crescere ulteriormente come artista e persona. Ovunque si creano amicizie, preferenze, ma anche tensioni e difficoltà, che facilmente possono sfociare in inimicizie. Si deve però imparare a difendere la musica da tutto questo, come valorosi cavalieri. Ne ho fatto la prova ultimamente a Vienna, dove davvero non è stato sempre tutto rose e fiori.
Il lavoro di gruppo ha sì delle dinamiche veramente complesse, a volte pesanti, ma sta a noi non lasciare che esse ci travolgano. Non è sempre facile, ma ci si riesce, grazie al rispetto e la bellezza di quello che facciamo.
L’amore per la musica ti fa superare qualunque difficoltà. E mai dimenticarsi quanto siamo fortunati: abbiamo il privilegio di poter fare, di quel che ci appassiona, il nostro “mestiere”.

Con la musica hai fatto anche incontri che immagino conservi tra i ricordi speciali
Difficile scegliere, in effetti, perché le occasioni sono state tante e davvero importanti, ma se proprio devo, credo che i concerti bellissimi con Daniel Barenboim siano in assoluto tra le esperienze più gratificanti: niente “fumo” e tutta vera sostanza musicale, con un totale e intransigente rispetto per la partitura.
Dato che la tecnologia lo permette, direi che anche guardare i video di Carlos Kleiber che dirige è per me un’esperienza sempre esaltante: il suo gesto, l’espressività del volto, l’eleganza, la passione profonda e mai esibita… purtroppo non ho fatto in tempo a lavorare con lui, ma adoro la sua maniera di fare musica!

 

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