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La donazione del M° Attilio Zambelli

La biblioteca della Scuola amplia il suo orario di apertura al venerdì (15-18) e festeggia una nuova e generosa donazione di musiche per clarinetto: ne è artefice Attilio Zambelli, primo clarinetto dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino dal 1962 al 1994, che ha deciso di regalare ai giovani musicisti fiesolani la sua ricca raccolta di spartiti. Lo abbiamo incontrato presso la sua abitazione fiorentina, ed abbiamo approfittato della sua gentile disponibilità per rivolgergli alcune domande:

Innanzitutto, grazie!! La sua generosa e cospicua donazione di musiche per clarinetto arricchisce la biblioteca della Scuola di un materiale di grandissima utilità per allievi e docenti. Perché ha scelto proprio Fiesole, come nuova “casa” per le sue musiche?
Grazie a voi, grazie alla Scuola! È un grande piacere, per me, sapere che la mia musica sarà a disposizione dei giovani clarinettisti. Fino a qualche tempo fa non avevo pensato ad una donazione, ma gli avvenimenti della vita portano a nuove considerazioni. Mi sono trovato a parlare del passato con un collega, e la conversazione ha toccato la Scuola: è stata un’illuminazione, ho cominciato a nutrire questa idea ed ho ritenuto che la biblioteca della Scuola di Fiesole fosse il miglior luogo dove collocare questo mio materiale per clarinetto, che spazia dai primi metodi al concertismo (e contiene anche copie manoscritte, che io stesso avevo realizzato per avere a disposizione la musica su cui studiare, nei tempi lontani in cui non esistevano le fotocopie!).
Considero la Scuola di Fiesole un’istituzione di primaria importanza, e da sempre ho nutrito un’ammirazione sconfinata per Piero Farulli e la grande lezione del Quartetto Italiano.

Com’era avvenuto il suo incontro con la musica e con il clarinetto?
Sono nato in un piccolo paese della provincia mantovana, e verso i 12 anni mia madre mi ha portato a cantare nel coro della chiesa, cosa che lei desiderava moltissimo che io facessi. Tuttavia il coro non era per me, e così sono stato indirizzato al maestro di musica. Ho cominciato a studiare nella piccola scuola del paese, scegliendo il clarinetto tra i non molti strumenti disponibili.
Questo è stato l’inizio, poi – incoraggiato dai buoni risultati – dopo due o tre anni sono entrato al Conservatorio di Bologna, dove c’era un bravissimo insegnante, Alberto Alberani, verso il quale nutro un’immensa gratitudine. Il clarinetto mi ha appassionato, fra tutti gli strumenti a fiato, per la sua voce e le sue grandi possibilità espressive, per la sua capacità di passare da un colore morbido ad una veemente aggressività. Mi piace citare Berlioz, che diceva che il clarinetto ha la possibilità di modulare il suono, aumentarlo e diminuirlo fino a creare “il lontano, l’eco, l’eco dell’eco, il suono crepuscolare”. Bello, no?

Per oltre trent’anni lei è stato primo clarinetto dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, ed ha collaborato con grandissime bacchette: quali incontri l’hanno arricchita maggiormente?
L’esperienza dell’orchestra è qualcosa che si nutre nella continuità, giorno dopo giorno; per questo sono sempre stato contrario all’affermazione che solo un grande direttore possa insegnare qualcosa. Da tutti si apprende, e mi è capitato molte volte di ricevere un’indicazione utile anche da un direttore di non primissimo piano, e trovarmi a pensare: “Questa non la sapevo…”. Coi grandi direttori si aggiunge quel quid, ma è mettendo insieme tutto, che in 30 anni qualcosa si impara. Ovviamente solo se si ama il proprio lavoro: bisogna amare, ed esser sempre attivi e modesti, studiare, ascoltare e cercare di migliorarsi continuamente.
Nel lungo periodo che ho trascorso nel Maggio sono successe tante cose: sono stati anni bellissimi e difficili, con prese di posizione sindacali che ad un certo punto ho smesso di condividere, fatti eccezionali come l’alluvione del ’66 (che ci costrinse a lasciare per qualche tempo il Teatro Comunale…).
Sono stati anche anni di incontri fondamentali per l’orchestra, con grandi maestri come Carlo Maria Giulini, che ricordo con particolare gratitudine perché aveva un modo gentilissimo e garbato di fare le sue osservazioni ai professori d’orchestra ma, quando diceva qualcosa, arrivava dentro come una fitta… Anche con Georges Prêtre abbiamo lavorato molto spesso, facendo cose bellissime, per non parlare di Zubin Mehta, che ci ha guidato in tante tournée… anche in India; e ovviamente Riccardo Muti, per oltre 10 anni direttore principale. Di questi maestri ricordo le ore trascorse a studiare, a lavorare a fondo sulle partiture: questo è stato per me il più grande arricchimento. Abbiamo avuto anche tante altre celebrità, tra cui Leonard Bernstein, ed è stato un onore, ma tutto avveniva tanto velocemente da non lasciare un segno così profondo.
Una volta terminata l’attività in orchestra ho lasciato anche il Conservatorio… uno strappo doloroso: ci ho messo anni, per poter tornare a parlare di tutto questo. Nel frattempo avevo preso una casetta in campagna vicino a Certaldo, e in mezzo a persone semplici ho ritrovato la serenità.
Mi piace dire che sono nato nella terra di Virgilio, ho lavorato tutta la vita nella terra di Dante e concludo… con Boccaccio!

Nella sua vita professionale c’è stato spazio anche per la musica da camera?
La collocazione più naturale per gli strumenti a fiato è certamente l’orchestra, però anche la musica da camera mi ha dato molta gioia: ricordo, tra le altre, la collaborazione con Andrea Nannoni, quando era primo violoncello del Maggio: con lui suonai con molto piacere il Trio op. 11 di Beethoven.
Nel 1973 fui tra i fondatori del Musicus Concentus; affrontavamo la musica da camera sperimentando quella che allora era un’assoluta novità: le prove aperte, durante le quali mostravamo il “giocattolo” smontato, e discutevamo con sempre maggior disinvoltura e confidenza davanti al pubblico. Il risultato è stato aprire anche noi stessi; a me ha fatto un gran bene sentire il pubblico più vicino, perché mi ha aiutato a vincere l’emozione che sempre accompagna il concerto.

Lei ha svolto anche un’intensa attività didattica, e molti clarinettisti si sono formati alla sua scuola. Cosa consiglierebbe oggi ad un giovane strumentista?
Credo che sia necessario dedicare massimo impegno allo studio e frequentare corsi di perfezionamento con grandi maestri. Ho sempre consigliato ai miei allievi di seguire lezioni importanti: ad esempio, non mancavo di approfittare della presenza di Antony Pay a Firenze, incoraggiando i miei allievi ad andare da lui. Mi dispiaceva solo quando qualcuno di loro perdeva tempo frequentando lezioni non qualificate. Consigliavo di andare all’estero e di confrontarsi con i più bravi. Anch’io sarei andato fuori, se ne avessi avuto l’opportunità, ma ai miei tempi non si usava…
Raccomando ai giovani soprattutto grande modestia, e di considerare il diploma un punto di partenza. Altrettanto fondamentale è l’esperienza di un’orchestra di formazione io ho avuto la fortuna di suonare per due anni nell’A.I.D.E.M., ed a questa istituzione sono grato perché mi ha dato le basi di repertorio e di esperienza. Altrimenti, vincere presto un concorso e trovarsi sul palco di un’orchestra celebre può causare grandi difficoltà.
Per questo trovo essenziale il ruolo formativo di un progetto come la vostra Orchestra Giovanile Italiana, che svolge proprio l’indispensabile funzione di preparare i giovani strumentisti alla vita professionale.
Auguro a tutti voi della Scuola buon lavoro!

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